Viaggio all’origine del pensiero unico verde – di Robi Ronza

Daniel_Cohn-BenditAl di là del tono neutro del suo nome, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in corso a Parigi è stata preparata, come più volte la Nuovabq ha tempestivamente avvertito, all’ombra di un pensiero unico fondato su due postulati assunti come indiscutibili: a) oggi le leve del cambiamento climatico sono nelle mani dell’uomo; b) qualsiasi variazione del clima rispetto a quello dell’epoca immediatamente precedente alla rivoluzione industriale è nefasto.

Nessun spazio è stato concesso alle tesi di chi sulla base di dati obiettivi osserva che: a) i cambiamenti climatici sono un fenomeno che in sostanza sfugge tuttora al controllo dell’uomo, anche se è vero che l’attività umana ha oggi un impatto sull’ambiente mai prima registratosi; b) nel passato storico il clima della terra è stato già diverse volte più caldo di quello della vigilia della rivoluzione industriale, ad esempio nella regione euro-mediterranea in alcuni secoli sia dell’età classica che di quella medioevale, e tra l’altro ciò ha coinciso con momenti di notevole sviluppo.

Non è poi detto che alla Conferenza in corso a Parigi tutto vada come vorrebbero coloro che così l’hanno impostata. E’ già chiaro infatti che Cina e India non hanno alcuna intenzione di bloccare il loro sviluppo come sarebbe inevitabile se l’estremismo ambientalista dei documenti preparatori si trasfondesse tale e quale nei documenti conclusivi.

L’estremismo ambientalista purtroppo ha però già vinto la sua battaglia in sede mediatica.

Dal grande circo mediatico internazionale giunge soltanto l’eco dei documenti preparatori. Nella parte del mondo ove esso trova maggiore ascolto – ossia i Paesi più sviluppati e gli strati sociali che ad essi fanno maggiore riferimento nel resto del globo – l’inevitabile loro scarsa o nulla accoglienza provocherà disagio nei confronti del presente e paura del futuro.Sarà questa molto probabilmente la principale conseguenza effettiva della Conferenza.

 

Tanto più considerando che la battaglia contro tale deriva si prospetta lunga, diventa allora interessante farsi un’idea chiara della ragion d’essere dell’estremismo ambientalista contemporaneo nonché delle radici anti-umanistiche e neo-autoritarie che lo caratterizzano.

Questo orientamento politico (per certi versi un vero e proprio movimento) nasce tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70 del secolo scorso ed è il risultato del confluire di due filoni: uno di matrice neo-malthusiana, e darwiniana nel senso più assoluto del termine, che trova fra l’altro potente sostegno in fondazioni che fanno capo a miliardari americani come i Rockefeller (Esso), Bill Gates (Microsoft), Ted Turner (Cnn) e così via; l’altro che è il sorprendente punto di approdo di gruppi europei di ultrasinistra all’epoca non lontani dal terrorismo.

Appartengono al primo due grosse organizzazioni come il WWF, fondato nel 1961 da Julian Huxley appunto con il determinante sostegno finanziario del miliardario americano Godfrey Anderson Rockefeller, e come Greenpeace, fondata nel 1971 e oggi presente in 45 diversi Paesi del mondo.

Secondo questa corrente la popolazione umana sta crescendo a un ritmo insostenibile per le risorse della Terra. Occorre quindi bloccare tale crescita, e per questo occorre imporre a tutti i governi del mondo una politica conseguente.

E’ sorprendente o viceversa assai significativo che queste organizzazioni puntino innanzitutto l’indice verso i Paesi meno sviluppati. Ignorano invece il più clamoroso caso di crescita demografica degli ultimi decenni, di cui non a caso si parla poco o niente, ovvero gli Stati Uniti.

Gli abitanti degli Usa, poco meno di 200 milioni nel 1970, sono divenuti oggi oltre 316 milioni trovando peraltro in tale crescita non un meccanismo di freno ma anzi un motore di sviluppo.

E si tratta di un crescita che non si spiega soltanto con l’eventuale maggiore fecondità specifica degli afroamericani e degli asiatici, assai più numerosi nei telefilm che nella realtà essendo rispettivamente meno del 15% e poco più del 5% dei residenti nel Paese.

 

Tale filone si è incrociato, come si diceva, con tutto un settore dell’ultrasinistra europea che alla fine degli anni ’60 del secolo scorso ha visto nell’ambiente, bene per natura sua indivisibile, un ambito nel quale tentare ancora di applicare quelle ricette marx-leniniste che stavano ormai diventando indifendibili.

Il centro di tale svolta fu la Germania dove i Verdi (die Grünen) trovarono i loro leader in Joschka Fischer e nel suo amico Daniel Cohn-Bendit, emigrato dalla nativa Francia dove era stato uno dei protagonisti del ’68.

L’itinerario personale di Joschka Fischer che partendo da posizioni non lontane dal terrorismo della Rote Armee Fraktion giunge a ricoprire la carica di ministro degli Esteri della Repubblica Federale di Germania, carica nella quale gli succederà nel 2005 il leader della SPD, Frank-Walter Steinmeier, è a modo suo esemplare dell’abilità di tale riposizionamento e dei suoi risultati.

Come mai questi due filoni, di origine tanto diversa, risultano oggi così bene intrecciati? Perché hanno in comune una concezione elitaria del potere, dell’uomo e del bene comune che nel tempo ha la meglio sulla diversità dei punti di partenza.

 

Tutta la storia della presenza umana sulla terra dimostra che, anche se ci sono stati brevi periodi di squilibrio fra popolazione e risorse, l’equilibrio si è poi sempre ristabilito.

E dallo squilibrio si è sempre usciti grazie alla straordinaria capacità dell’uomo di adattarsi all’ambiente, di scoprire nuove risorse e di avvalersene in modo ogni volta più ecomico e costruttivo.

Oggi più che mai lo sviluppo e la fecondità devono essere responsabili, ma la strada per arrivarci è appunto quella della libertà e della responsabilità informate di ciascuno; non quella del blocco dello sviluppo e della crescita imposti dall’alto.

Come si sta vedendo anche in questi giorni a Parigi le forze schierate contro questa prospettiva sono tuttavia davvero potenti. Quindi il confronto non sarà né facile né breve.

 

Fonte: La NBQ