Verso il conclave. Le pressioni sui cardinali – di Sandro Magister

La cattedra di Pietro è vuota. Joseph Ratzinger l’ha abbandonata con un taglio netto e ha lasciato il futuro governo della Chiesa a un successore che gli è ignoto, come è tuttora ignoto agli stessi cardinali che lo eleggeranno. Non si ricorda, nell’ultimo secolo, un preconclave così incerto e così vulnerabile a pressioni esterne ed interne.

L’ultimo clamoroso veto di una potenza mondana, l’impero d’Austria e Ungheria, contro un cardinale che stava per essere eletto papa, risale al 1903.

Ma oggi è il “quarto potere”, quello dei media, che non dà tregua ai porporati chiamati a conclave.

Uno è già caduto, è lo scozzese Keith Michael Patrick O’Brien. In uno dei suoi ultimi atti da papa Benedetto XVI ha affrettato le sue dimissioni da arcivescovo di Edinburgo e lui stesso ha annunciato che non si recherà a Roma per l’elezione del nuovo pontefice.

Un altro è l’ex arcivescovo di Los Angeles Roger Mahony, censurato dal suo stesso successore José Horacio Gómez.

Un terzo è l’ex arcivescovo di Bruxelles Godfried Danneels.

Per tutti e tre i capi d’accusa si riferiscono a quella “sporcizia” contro la quale papa Ratzinger ha combattuto la sua strenua battaglia.

Mahony e Danneels hanno finora resistito all’epurazione, ma dentro il collegio cardinalizio la loro autorevolezza è praticamente azzerata.

Eppure, solo pochi anni fa, i tre erano sulla cresta dell’onda. Tra i nove voti che il cardinale Carlo Maria Martini, il candidato bandiera dei cardinali progressisti contrari all’elezione di Ratzinger, ebbe nel primo scrutinio del conclave del 2005, c’erano proprio quelli di O’Brien (che ancora di recente è tornato ad auspicare l’abolizione del celibato), Mahony e Danneels.

Oggi di questa corrente progressista non rimane quasi più nulla, dentro il sacro collegio.

Oltre alle pressioni esterne, però, sul preconclave agiscono pressioni che vengono anche da dentro la Chiesa.

Il rapporto segreto che i tre cardinali Julián Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi hanno consegnato a Benedetto XVI e soltanto a lui, e questi ha messo a disposizione esclusiva del suo successore, un rapporto di cui non è trapelata nemmeno una riga ma che si sa dipinge un quadro preoccupante del malfunzionamento della curia romana, pesa sul conclave come una bomba a tempo.

La scelta del nuovo papa ne sarà condizionata, perché all’eletto si chiederà di compiere in tempi stringenti quella riforma della “governance” che Benedetto XVI ha lasciata incompiuta, pena il precipitare della Chiesa in un disordine istituzionale tale da oscurare la sua missione ultima e vera: ravvivare la fede cristiana dove si è indebolita e portarla dove non è ancora arrivata.

Anche nei precedenti conclavi i cardinali hanno registrato pressioni analoghe.

Nei due del 1978, quelli che elessero papa prima Albino Luciani e poi Karol Wojtyla, i porporati si videro recapitare un dossier preparato dal “think tank” bolognese di Giuseppe Dossetti, Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni, comprendente un dettagliato capitolo su quello che il nuovo eletto avrebbe dovuto fare nei primi “cento giorni”: abolire le nunziature, fare eleggere i vescovi dalle rispettive regioni ecclesiastiche, conferire poteri deliberativi al sinodo dei vescovi, istituire al vertice della Chiesa un organo collegiale “che sotto la presidenza personale ed effettiva del papa tratti almeno bisettimanalmente i problemi che si pongono alla Chiesa nel suo insieme, prendendo le decisioni relative”.

Il dossier chiedeva al nuovo papa anche di “liberarsi dalla paura della rivoluzione sessuale” e di innovare con decisione la morale cristiana in questo campo, ma nulla di tutto ciò fece Giovanni Paolo II.

Nel 2005 i bolognesi tornarono alla carica puntando sul cardinale Martini e ristampando in un libro il loro dossier, ma anche Benedetto XVI, l’eletto, l’ignorò del tutto.

Al suo successore i cardinali elettori chiederanno molto di meno, in materia di governo. Basterà che nei primi cento giorni egli avvii una drastica riforma della curia.

Sarà difficile, questa volta, che il nuovo papa vi si possa sottrarre.

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Questa nota è uscita su “L’Espresso” n. 9 del 2013, in edicola dal 1 marzo, nella pagina d’opinione dal titolo “Settimo cielo” affidata a Sandro Magister.

 

Fonte: http://chiesa.espresso.repubblica.it/