“Anche una donna può amministrare una città…” Soprattutto se è una cristiana palestinese. E pensare che quando era giovane Vera Baboun si immaginava segretaria. Magari impiegata in qualche piccolo ufficio di paese. Da qualche settimana invece è il nuovo sindaco di Betlemme. Cattolica, vedova con 3 figli, Baboun è la prima donna a governare questa piccola città palestinese ancora profondamente patriarcale. Alle ultime elezioni ha superato gli altri sei candidati (tutti uomini) e oggi Betlemme ha una donna come primo cittadino.
Rigorosamente cristiana per giunta, per una legge voluta da Arafat nel 1997 (oltre a Betlemme, sono 7 le città della Cisgiordania dove questa legge viene applicata). Uno Status quo che impone al sindaco cattolico di nominare il vice ortodosso, e viceversa. Anche se la maggioranza dei Betlemiti è musulmana, a capo della municipalità deve esserci un cristiano. Vera Baboun ha cominciato a dedicarsi alla politica dopo aver lasciata alle spalle un’importante carriera universitaria (era assistente del rettore) e l’incarico di dirigente scolastico in un istituto cristiano ortodosso, che mai aveva accettato un laico ai vertici.
La sua vita è costellata di tante soddisfazioni professionali e sofferenze personali. Quattro anni fa perse il marito, militante palestinese. “Sono state le sfide di questa terra ad avermi preparato per questo incarico”, racconta dopo che il risultato delle elezioni è stato verbalizzato. Il 14 settembre del 1990 i militari israeliani sono andati a casa sua per catturare il marito, con la garanzia che sarebbe tornato dopo 24 ore. “Passarono 50 giorni senza che riuscissi a vederlo”. Era finito nelle carceri israeliane.
Vera non sapeva che Johnny era un militare. Lui l’aveva tenuta all’oscuro di tutto per non farla preoccupare. “Avevo tre figli e un marito in carcere, ma all’università ebraica non fece alcuna differenza: rispettarono sia il mio diritto di istruirmi, sia quello di mio marito di difendere la patria”. Poi la letteratura inglese femminile convinse quella timida segretaria sempre meno impaurita: “La tenacia con cui certe donne avevano superato la sofferenza, mi rendeva sempre più forte». Sua eroina divenne Toni Morrison, una scrittrice statunitense afroamericana, a cui dedicò la tesi di dottorato.
Nella sua città natale non mancavano umiliazioni continue. Sempre di notte tornarono ancora i militari israeliani per distruggere l’officina di suo marito. «Secondo loro limitava la visuale delle torrette di avvistamento su Betlemme». Quando Johnny lo venne a sapere, si chiuse in un isolamento totale: «Non uscì di casa per cinque anni». Morì nel 2007. Al funerale militare venne trattato come un martire.
«Quel giorno, la piazza della Natività fu gremita di cristiani e musulmani per dargli l’ultimo saluto. I miei figli – Amir, Samer, Nadine, Lordina e Natali – lo ricordano ancora come il momento più commovente della loro vita».
Oggi siede sullo scranno più alto della Municipalità Betlemita. Da quell’ufficio che dà direttamente sulla Basilica della Natività svolge un compito difficile, assieme alla sua giunta a maggioranza cristiana (i musulmani hanno 7 seggi su 15).
Il periodo attuale che sta attraversando il Medio Oriente – e la Palestina in particolare dopo il voto all’ONU – la costringono a un lavoro duro in una società dove la donna vive ancora tra discriminazioni e restrizioni.
La sua priorità è la formazione dei giovani: “Attraverso l’educazione, possiamo – secondo me – incrementare la responsabilità della gioventù di Betlemme nella città”. Per il sindaco Baboun è una questione del tutto cruciale: “I giovani di Betlemme vivono una realtà di confino, una situazione – in molti casi – di mancanza di speranza. Per le generazioni future è davvero fondamentale che si incrementi la loro consapevolezza”. Inshalla (se Dio vuole), come dicono da queste parti.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana