Cresce nel mondo la domanda di uteri in affitto. La pratica della maternità surrogata nasce dall’impossibilità per la donna della coppia che vuole un figlio in provetta di portare a termine la gestazione, oppure dalla mancanza di volontà di addossarsi l’onere della gravidanza e del parto, o infine dalla richiesta di essere “genitori” da parte di una coppia di omosessuali maschi o di un/una single.
A fronte della domanda che sale, in parallelo aumenta l’offerta e il lavoro dei centri specializzati che mettono in contatto le coppie con le donne che si offrono come incubatrici di carne. Uno dei più attivi è lo statunitense Center of Surrogate Parenting (CSP): 1.700 bambini nati da uteri affittati in 30 anni di attività. Il 40% delle richieste arriva da stranieri. La metà dei clienti è omosessuale.
Tra questi ricordiamo la popstar Elton John che nel 2010, all’età di 63 anni, si rivolse a questa clinica insieme al suo compagno David Furnish per avere un bambino “in conto terzi” (si veda l’articolo pubblicato su La Bussola Quotidiana “Elton John, ‘padre’ in un film horror di terz’ordine” del 30 dicembre 2010).
Il tutto ha inizio con una chiacchierata in internet tramite Skype tra gli aspiranti “genitori” e il personale del CSP. Poi si passa alla selezione della donatrice dell’ovocita – perché spesso la donna della coppia richiedente è troppo in là negli anni per avere gameti giovani e sani – e della gestante. A volte le due figure coincidono.
In merito alla “donatrice” di ovuli occorre avere tra i 21 e i 35 anni, essere in salute, dare prova di un buon quoziente intellettivo (ma il fatto di prestarsi a simili operazioni mette in dubbio quest’ultimo requisito), avere un ottimo carattere.
Anche chi offre il proprio utero deve possedere delle caratteristiche ben precise: alta, giovane, snella, sposata e con figli perché così avrà già avuto esperienze di parto e sarà di certo una persona responsabile. Inoltre dovrà essere sottoposta a test psicologici e la sua fedina penale deve essere immacolata.
Dato che il CSP si fregia di essere un centro serio e professionale, non si accettano candidature da parte di donne che si rifiuterebbero di abortire se il feto fosse malformato o se la gravidanza fosse multipla, avendo invece richiesto la coppia un solo bambino.
Insomma il “controllo qualità” se va bene per il manzo argentino può andar bene anche per le femmine degli esseri umani. La selezione è così ardua che a fronte di 400 domande che il CSP riceve ogni mese, solo una dozzina viene accettata.
Tutto questo procedimento da polli in batteria ovviamente ha un suo costo. La donna che vende il proprio ovocita riceve tra i 5 e i 10mila dollari così anche l’agenzia, oltre a questo i genitori devono sborsare tra i 6 e i 10mila dollari per spese legali, tra i 15 e 25mila dollari per ogni ciclo di Fivet e tra 25 e 35mila dollari per pagare la gestante, più 8mila dollari se si desiderano dei gemelli.
Infatti soprattutto le coppie formate da due gay vogliono dei gemelli così ognuno di loro avrà un bambino a testa, come il padre di famiglia che, per non scontentare nessuno, regala la stessa automobilina ai suoi due figli. Al CSP tengono a precisare con un candore tutto farisaico che per evitare mercificazioni vogliono solo donne economicamente indipendenti.
Poi c’è il sito web Surrogatefinder, aperto in India, il quale testimonia ancora una volta che la fantasia – o meglio: la follia – supera spesso la realtà. Si tratta in buona sostanza di un Facebook della fecondazione artificiale che mette in contatto, attingendo ai server delle cliniche di tutto il mondo, la domanda con l’offerta utilizzando una banca dati dalle dimensioni impressionanti.
Per arrivare a confezionare un bebè a misura del proprio egoismo e in perfetto stile eugenetico il sito offre delle chiavi di ricerca plurime. Innanzitutto viene richiesto se si sta cercando un utero in affitto, un “donatore” di sperma oppure una “donatrice” di ovociti.
Poi in merito alla madre surrogata e ai “donatori” viene chiesto se ci sono preferenze per il loro paese di provenienza (si arriva a chiedere anche la regione e la città di provenienza) per la loro etnia, e quanti figli debbano avere. Occorre infine indicare se la richiesta viene fatta da una coppia etero, omosessuale o da un/una single.
Dopo questa operazione così simile alla prenotazione di un posto su un aereo, ecco apparire le foto – la maggior parte delle quali assai ammiccanti: il business è business – delle o dei pretendenti con tanto di relativa scheda, la quale è dettagliatissima: anni, nazionalità, nome o nickname per chi vuole rimanere anonima/o, peso, altezza, stato civile (tra cui la convivenza), stato di salute, gruppo sanguigno, colore dei capelli e degli occhi, esperienze pregresse in merito a fecondazione artificiale, disponibilità a viaggiare (nel caso in cui la coppia richiedente non voglia spostarsi per conoscere la donna).
Poi la candidata esplicita a chi vuole donare il proprio ovocita o utero: coppie di eterosessuali o omosessuali, single. Segue una descrizione libera di se stessi: a volte sono poche righe, a volte dei veri e propri curriculum. Infine una sezione chiamata “La mia lettera a voi”. In genere si tratta di uno stucchevole sonetto su quanto è bello aiutare gli altri ad avere un figlio, sull’importanza della famiglia e dell’amore. “Prego affinché voi possiate riporre la vostra fiducia e speranza nelle mie mani per donarvi il vostro raggio di gioia” scrive Blessing4u, cioè “Benedizione per voi”.
Preghiere rese ancor più ferventi, ne siamo certi, dal fatto che Blessing4u riceverà un bel po’ di quattrini per quest’opera pia. Una volta cliccata l’eletta basta mettersi in contatto via e-mail con il centro che ha la suddetta nella propria scuderia al modico prezzo di 100 dollari, valevole per l’iscrizione al sito per 6 mesi, oppure in super sconto al prezzo di 150 dollari per un anno. Sono accettate tutte le carte di credito.
Il sito va a gonfie vele. Lo scrivente è andato a vedere il profilo della 24enne americana Megan, la quale appena iscritta in poche ore ha già risposto a 3 richieste, segno evidente che molte di più ne ha ricevute ma a queste ha deciso di non rispondere.
Poi la palla passerà ai centri distribuiti in tutto il mondo e questi mercanti di figli, vera e propria merce umana, speculano sui prezzi: si porterà via un bebè scontato se si contatterà una donna indiana – siamo intorno ai 6-15mila euro – e poi si salirà di molto se al “modello base” si vorranno aggiungere alcuni costosi optional come occhi azzurri e capelli biondi, etnia russa o americana. La categoria del lusso ora riguarda anche il figlio.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana