Per due secoli furono al centro della scena mondiale. Nelle loro missioni, estese dall’Estremo oriente alle due Americhe, dalle Filippine all’Africa, sperimentarono metodologie che non cessano di appassionare storici e antropologi; dai loro collegi, distribuiti dovunque, nacque la moderna idea della scuola; come teologi, scienziati, astronomi, matematici dominarono la cultura del loro tempo. Molte città, da Cordoba in Argentina a Breslavia in Polonia, non sarebbero ciò che sono senza il loro lascito architettonico. San Paolo, in Brasile, se la inventarono loro.
Stiamo parlando della Compagnia di Gesù, che duecento anni fa, il 7 agosto 1814, Pio VII ripristinò in tutta la cristianità con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum, dopo che un altro Papa, Clemente XIV, l’aveva soppressa il 21 luglio 1773 con il breve Dominus ac Redemptor.
Nei quarantuno anni che intercorrono tra i due interventi romani i gesuiti, pur canonicamente soppressi, erano riusciti a sopravvivere.
E a tenerli in vita, mentre tutta l’Europa cattolica li voleva morti, fu lo Stato più anticattolico del continente: la Russia. Una storia paradossale, che merita di essere raccontata.
Nel sistema della Chiesa di Stato d’ancien régime gli atti pontifici non avevano efficacia fino a che non erano fatti propri dai sovrani, cui spettava il compito di accettarli e renderli esecutivi nei rispettivi domini.
Quando il breve papale giunse in Russia, dove regnava Caterina II, questa lo ignorò, rifiutando di dargli corso. La Russia ortodossa era un altro mondo, lontano dai centri illuministi europei.
Nel suo sterminato impero, afflitto da un’endemica ignoranza, i gesuiti potevano essere preziosi. Perché privarsene? E così, posti rigidi paletti al loro operato — guai se avessero fatto proselitismo fra gli ortodossi — decise di tenerseli.
E poi, chissà, forse alla zarina non dispiacque l’idea di fare uno sgarbo al Papa. Come al Papa, date circostanze, forse non dispiacque ricevere quello sgarbo.
Gianpaolo Romanato
articolo pubblicato su L’Osservatore Romano