In questi ultimi tempi si è molto parlato di “particella di Dio”, mescolando, spesso con un po’ di ironia, cosmologia e religione. Una definizione che pare alludere a una ricomposizione della scienza con Dio, con una formula che sembra voler risolvere la questione senza problemi.
A queste facili ma superficiali soluzioni si contrappone una proposta seria: quella di affrontare il nodo attraverso “persone-ponte”, cioè scienziati cattolici che testimoniano, nella loro ricerca e nella loro fede, la possibilità della convivenza tra questi due ambiti, così spesso descritti come opposti se non nemici.
Si presenta proprio come persona-ponte il polacco Michael Heller — fisico e matematico, ma anche teologo — in un piccolo e prezioso libro appena pubblicato in Italia (La scienza e Dio, La Scuola). Lo scienziato si sottopone alle intelligenti e pertinenti domande che gli rivolge Giulio Brotti perché ha una denuncia urgente da fare: «Oggi vi è una grave separazione fra l’ambito delle istituzioni ecclesiali e quello della ricerca scientifica». Una separazione che secondo lui è urgente colmare, cominciando a prendere in considerazione il metodo che la scienza moderna ha elaborato, e che costituisce non solo il suo maggiore successo, ma anche il suo apporto più rilevante alla cultura contemporanea.
Perché, secondo Heller, è importante che si ristabilisca la connessione vitale tra la cultura ecclesiale e quella scientifica. La posta in gioco è l’integrità dell’esperienza umana. Partendo da una certezza: che gli scienziati sono persone naturalmente religiose, anche se non aderiscono a una chiesa, perché si confrontano sempre con la razionalità immanente ai fenomeni naturali, realtà che pone di fronte al mistero.
Heller passa poi in rassegna la lunga storia dei rapporti fra scienza e teologia, osservando che in passato la riflessione teologica e la predicazione cristiana hanno avuto un rapporto di osmosi con la scienza coeva, tanto da poter concludere che la scienza moderna è profondamente radicata nella teologia e nella filosofia medievali. Lo scienziato torna anche sulla controversa questione di Galileo, citata spesso come inizio dell’incomprensione fra scienza e fede. La Chiesa aveva una lunga tradizione di interpretazione allegorica della Scrittura, e quindi l’ipotesi di Galileo in sé non avrebbe avuto un tale potere eversivo se non fosse caduta in una fase di forte tensione dopo la Riforma protestante, quando tutte le novità venivano viste con sospetto.
Lo scienziato si dichiara particolarmente vicino alle questioni affrontate da Leibniz, che secondo lui colgono la radice del nuovo rapporto fra scienza e teologia e servono a capire i problemi posti dalle nuove ipotesi sulla realtà del cosmo, e dalla certezza di essere alla vigilia di un nuovo grande cambiamento nella comprensione del mondo. Egli pensa infatti che questa possa venire rivoluzionata dalle prossime scoperte, anche a breve scadenza; magari attraverso una nuova “teoria del tutto” che unifichi le due grandi teorie della fisica contemporanea: la meccanica quantistica e la teoria generale della relatività.
Heller dedica parole di fuoco alla necessità che i futuri sacerdoti siano ben preparati sul piano scientifico, cosa che oggi non avviene, sia perché ha prevalso un approccio umanistico alla filosofia, sia perché dopo il Vaticano ii si è diffusa l’idea che i sacerdoti debbano compiere esclusivamente un lavoro pastorale in senso stretto. Mentre anche i preti scienziati svolgono un lavoro pastorale, perché sono in grado di colloquiare con gli studiosi usando il loro linguaggio e quindi avviare un vero dialogo, ribadisce Heller.
La sua idea è che si dovrebbe proporre un incontro con Dio non dove la ricerca scientifica incontra dei problemi — facendo così di Dio una sorta di tappabuchi — ma piuttosto dove la scienza procede speditamente, offrendoci una valida comprensione dell’universo. L’impresa scientifica ha infatti lo scopo essenziale di «decifrare ciò che i cristiani concepiscono come il Logos immanente nella creazione». Dal momento che, «accettando il fatto che la realtà sia depositaria di un “senso” — come la scienza ci suggerisce — è difficile evitare il confronto con una prospettiva di tipo teologico». La scelta «a favore del Logos» da cui «hanno preso le mosse la filosofia e la scienza occidentali sarebbe allora il riflesso di un piano razionale che regge l’intero universo».