Benedetto XVI ha inaugurato questa mattina in Piazza San Pietro, davanti a circa 40 mila persone, un nuovo ciclo di catechesi dedicato all’Anno della Fede, interrompendo momentaneamente quello sulla preghiera, che svolgeva da tempo. In una intensa riflessione, il Papa ha spiegato di voler aiutare i cristiani a superare la “frattura tra fede e vita” e a ritrovare entusiasmo e coraggio nell’annuncio, pur in contesti sociali che sembrano aver dissolto qualsiasi valore profondo.
C’era una volta la gioia di essere cristiani, la freschezza e il fuoco del primo annuncio: Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, è sceso sulla terra e ha dato la sua vita per amore dell’umanità, salvandola. Trascorsi duemila anni – constata con un realismo punteggiato d’amarezza il Papa – tanti cristiani neanche ricordano più che questo è “il nucleo del primo annuncio”.
Ed ecco la reazione di Benedetto XVI: contribuire personalmente con un ciclo di catechesi a far sì che l’Anno della Fede “rinnovi l’entusiasmo di credere in Gesù Cristo”:
“Si tratta dell’incontro non con un’idea o con un progetto di vita, ma con una Persona viva che trasforma in profondità noi stessi, rivelandoci la nostra vera identità di figli di Dio. L’incontro con Cristo rinnova i nostri rapporti umani, orientandoli, di giorno in giorno, a maggiore solidarietà e fraternità, nella logica dell’amore (…) è un cambiamento che coinvolge la vita, tutto noi stessi: sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità, emozioni, relazioni umane”.
Dunque, la fede coinvolge tutta la persona. Ma ai credenti è chiaro questo? Oppure, si chiede Benedetto XVI, la fede è un fattore esteriore, che poco a che fare con la vita di tutti i giorni?:
“Oggi è necessario ribadirlo con chiarezza, mentre le trasformazioni culturali in atto mostrano spesso tante forme di barbarie, che passano sotto il segno di ‘conquiste di civiltà’ (…) Dove c’è dominio, possesso, sfruttamento, mercificazione dell’altro per il proprio egoismo, dove c’è l’arroganza dell’io chiuso in se stesso, l’uomo viene impoverito, degradato, sfigurato. La fede cristiana, operosa nella carità e forte nella speranza, non limita, ma umanizza la vita, anzi la rende pienamente umana”.
Certi atteggiamenti umani così intrisi di relativismo sono frutto, osserva il Papa, dei “processi della secolarizzazione” e di “una diffusa mentalità nichilista”:
“Così, la vita è vissuta spesso con leggerezza, senza ideali chiari e speranze solide, all’interno di legami sociali e familiari liquidi, provvisori. Soprattutto le nuove generazioni non vengono educate alla ricerca della verità e del senso profondo dell’esistenza che superi il contingente, alla stabilità degli affetti, alla fiducia. Al contrario, il relativismo porta a non avere punti fermi, sospetto e volubilità provocano rotture nei rapporti umani, mentre la vita è vissuta dentro esperimenti che durano poco, senza assunzione di responsabilità”.
Quindi, Benedetto XVI “stringe” sulla situazione dei credenti, che non è molto più rasserenante. Un’indagine promossa nei continenti in vista del Sinodo sulla nuova evangelizzazione rivela – ha evidenziato – che spesso la “fede è vissuta in modo passivo e privato”, che esiste un “rifiuto all’educazione alla fede” e, in definitiva, “una frattura tra fede e vita”.
“Il cristiano oggi spesso non conosce neppure il nucleo centrale della propria fede cattolica, del Credo, così da lasciare spazio ad un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo. Non è così lontano oggi il rischio di costruirsi, per così dire, una religione del ‘fai-da-te’. Dobbiamo, invece, tornare a Dio, al Dio di Gesù Cristo, dobbiamo riscoprire il messaggio del Vangelo, farlo entrare in modo più profondo nelle nostre coscienze e nella nostra vita quotidiana”.
E c’è un modo perché questa riscoperta di Gesù e del Vangelo possa realizzarsi. Il Papa la chiama la “formula essenziale della fede”, dove le verità trasmesse sono presenti una ad una, il Credo:
“Anche oggi abbiamo bisogno che il Credo sia meglio conosciuto, compreso e pregato. Soprattutto è importante che il Credo venga, per così dire, «riconosciuto». Conoscere, infatti, potrebbe essere un’operazione soltanto intellettuale, mentre «riconoscere» vuole significare la necessità di scoprire il legame profondo tra le verità che professiamo nel Credo e la nostra esistenza quotidiana”.
Al termine dell’udienza generale, dopo aver salutato in varie lingue tra cui l’arabo i gruppi presenti in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha ricordato l’odierna Giornata Mondiale del Rifiuto della miseria, indetta dall’Onu, esortando a “preservare la dignità e i diritti di quanti sono condannati a subire il flagello della miseria, contro il quale – ha detto –l’umanità deve lottare senza sosta”.
Alessandro De Carolis
Fonte: Radio Vaticana