“La Televisione del dolore”, un genere in ascesa nella tv italiana, come rivela una ricerca dell’Osservatorio di Pavia sulle “cattive pratiche televisive”, commissionata dall’Ordine dei giornalisti per puntare l’indice contro la spettacolarizzazione della sofferenza a scopo di audience.
Tre mesi di osservazione, da settembre a dicembre 2014, sui programmi delle sette reti generaliste della Rai, di Mediaset e de La7.
La “Tv del dolore” è quella incentrata su fatti di cronaca nera e giudiziaria o gravi disagi individuali e sociali, dove la sofferenza privata è oggetto di spettacolarizzazione pubblica, enfatizzata con ogni mezzo – dal gossip sulle persone, al racconto efferato di violenze e abusi, all’esposizione mediatica dei protagonisti, rei o vittime, oltre che di parenti, amici, avvocati, magistrati, ed esperti del caso – al solo fine di suscitare emozioni forti, indurre curiosità morbose, attrarre l’attenzione del pubblico per conquistare audience.
Omicidi e scomparse, “serializzati” nel tempo, occupano l’80% cento di questa programmazione, 287 ore al mese, circa 3 ore al giorno. Rai 1 e Canale 5 – reti dedicate alla famiglia – da sole ne assorbono il 70%, concentrate in quattro trasmissioni “Storie Vere”, “La vita in diretta”, “Mattino Cinque”, “Pomeriggio Cinque/Domenica live”. Sul banco degli imputati anche “Quarto Grado”, “Amore criminale” e “Chi l’ha visto”, nonostante la professionalità e la sobrietà di gran parte dei servizi. Meno problematiche “Uno mattina” e i “Fatti vostri”.
Una ricerca parziale che esclude programmi spesso accusati di indulgere su delitti mediatici come “Porta a porta”, che nel periodo preso in esame non ha mostrato criticità.
Ma che ruolo hanno i giornalisti nella “Tv del dolore”? Enzo Iacopino, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti:
R. – Hanno colpe anche loro. Molte volte queste nascono da necessità, perché la gran parte dei giornalisti coinvolti in queste trasmissioni, che io considero vergognose, non sono contrattualizzati come tali ma sono assunti come programmisti-registi, assistenti ai programmi o con Partite Iva.
Sono persone che lavorano a chiamata per un breve periodo e rifiutarsi di assecondare la produzione, gestita quasi sempre da giornalisti, significa che il loro telefono non squillerà più.
Quindi, commettono delle violazioni per necessità ma questo non li esime da responsabilità.
Il problema più grande, a mio avviso, è il devastante silenzio delle tre autorità che hanno competenze su queste vicende – mi riferisco all’Autorità per le comunicazione, al Garante della privacy e a quello dell’infanzia – che sembrano guardare dall’altra parte, come oggi gli è stato detto apertamente e pubblicamente.
L’Agcom fa sanzioni alle tv perché c’è un disequilibrio nei minutaggi della politica, ma quando si invade la vita delle persone, si oltraggia la dignità dei morti guardano dall’altra parte. Non è tollerabile!
D. – Esistono però una gran quantità di Carte e Codici deontologici disattesi. Sarà anche un problema dello stesso Ordine dei giornalisti e anche di cultura della società italiana…
R. – Sì, noi abbiamo troppe Carte. Se avessi il potere assoluto, farei una norma che obbliga ad avere per gli altri lo stesso rispetto che si reclama per sé. Tra l’altro, è una norma che già esiste nella nostra Legge e nella Carta dei doveri, quindi le altre carte sono tutti orpelli aggiuntivi e specificativi dei singoli settori.
Io non credo che i giornalisti non commettano errori… Succede. Ma l’apporto devastante, almeno nel settore del quale ci siamo occupati è quella Tv che davanti ai bambini che sono sdraiati su un divano e fingono di giocare ma l’orecchio è lì, parla senza neanche tanti giri di parole di morti, di amanti, di amicizie più o meno singolari… Non è possibile che questo avvenga nell’indifferenza di chi ha l’incarico di vigilare su quello che viene trasmetto dalle Tv.
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana