La contraddizione è sotto gli occhi di tutti e in termini politici è definibile come un insuccesso. Papa Francesco picchia senza tregua contro sovranismi e nazionalismi e nonostante ciò i suoi fedeli votano in massa per dei partiti sovranisti e nazionalisti, in Italia e in Europa.
In Italia, ad esempio, il partito oggi più votato dai cattolici praticanti è la Lega, con il suo capo Matteo Salvini (nella foto), devoto alla Madonna e insieme paladino del respingimento degli immigrati.
Nella ristretta cerchia dei confidenti di Jorge Mario Bergoglio c’è chi deve avergli fatto notare questo contrasto tra ciò che lui predica e il comportamento dei fedeli. Ne è prova l’articolo uscito l’11 dicembre sul “Corriere della Sera” a firma di Andrea Riccardi, professore di storia della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant’Egidio:
> Il nazional-cattolicesimo, un pericolo per la Chiesa
Riccardi cita solo di sfuggita Francesco. Si guarda bene dal ricordare la sua bordata più rumorosa, in un’intervista dello scorso 6 agosto: “Il sovranismo è un atteggiamento di isolamento. Sono preoccupato perché si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934…”.
Il professore lamenta piuttosto “la carenza di riflessione nella Chiesa su questo fenomeno”, cioè sul perché “una parte dei cattolici non accoglie il messaggio sociale di papa Francesco, mentre cerca rassicurazioni e si mostra sensibile a un cattolicesimo che dia identità”.
Ma Riccardi rinuncia lui per primo ad analizzare la questione. Si limita a constatare che “i movimenti sovranisti sono attenti ai valori e ai simboli cristiani” e che di conseguenza “verso la Chiesa si leva una domanda di nazional-cattolicesimo”. Una domanda a suo giudizio “lacerante”, perché opposta “all’universalismo cattolico, eredità dei papi e del Concilio, alla cui ombra sono cresciute l’Europa unita e tante visioni e azioni verso il mondo”.
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C’è però un altro studioso che ha pubblicato quest’anno un saggio che analizza a fondo proprio l’idea di nazione in Italia e nella società occidentale, contestando le critiche sommarie che contro di essa si esercitano.
Questo studioso è Roberto Pertici, 67 anni, professore di storia contemporanea all’università di Bergamo e specialista dei rapporti tra Stato e Chiesa. Uno storico di cui i lettori di Settimo Cielo hanno già potuto apprezzare sia un’illuminante analisi sulla fine del “cattolicesimo romano” messa in moto dall’attuale pontificato, sia un commento a “The Benedict Option”, sul futuro del cristianesimo in un’epoca postcristiana.
Pertici è stato anche una firma di spicco de “L’Osservatore Romano” negli anni in cui il quotidiano vaticano era diretto da Giovanni Maria Vian. Il suo ultimo libro, edito da Viella, ha per titolo: “La cultura storica dell’Italia unita”.
Al quotidiano “L’Eco di Bergamo” Pertici ha dato recentemente un’intervista in cui argomenta che la crescita degli egoismi nella società di oggi non è prodotta dal trionfo dell’idea di nazione ma piuttosto dalla perdita del vero significato di tale idea.
Il testo integrale dell’intervista è riprodotto in quest’altra pagina di Settimo Cielo:
Per cominciare, Pertici rimanda a un classico di un grande storico del Novecento, a “L’idea di nazione” di Federico Chabod, e contesta la corrente storiografica postmoderna che ha invece ridotto la nazione a “un’impostura” e a “un’invenzione della tradizione”.
La nazione – sostiene – ha fondamento in una civiltà, in una cultura. Il che “non significa che gli altri siano incivili; le culture sono tante, devono essere aperte, devono scambiare tra di loro, però hanno alcune caratteristiche specifiche. Oggi siamo tutti universalisti a parole, ma la nazione si basa su una cultura della differenza. Che non significa prevaricazione”.
Pertici ammette che dagli Stati nazionali sono venuti i “nazionalismi”. Ma sottolinea che nella nazione soprattutto “si è sviluppata la democrazia” e “si sono affermati i movimenti dei lavoratori, le tutele sociali, il welfare, lo Stato assistenziale”. Mentre “bisogna ancora dimostrare che gli Stati sovranazionali abbiano la stessa capacità”.
L’idea di nazione può cioè avere, e li ha avuti, sviluppi negativi. Ma vanno guardati principalmente i suoi effetti positivi: “Nella nazione l’individuo si integra in una realtà che supera il suo orizzonte puramente personale, sente come qualcosa di reale il cosiddetto ‘bene comune’.
Da due secoli esso è al centro anche della dottrina sociale della Chiesa, ma rischia di essere astratto se non si incarna in un popolo, in qualcosa di prossimo, che si conosce, con cui abbiamo familiarità: soltanto le persone astratte si affezionano, per principio, a coloro che sono distanti, l’essere umano normalmente si affeziona ‘in primis’ a quelli che gli somigliano e che frequenta”.
Il presupposto dell’affermarsi in Europa, negli ultimi anni, di particolarismi ed egoismi è precisamente “l’aver negato questa appartenenza a qualcosa da cui tutti eravamo avvolti”.
Ma soprattutto, prosegue Pertici, c’è stato a partire dagli anni Sessanta “un cambiamento di paradigma complessivo”. Mentre in precedenza sui diritti prevalevano i doveri, grazie ai quali “l’individuo si sente parte di qualcosa di più grande che guida la sua azione e che lo definisce”, oggi invece “si è passati alla prevalenza dei diritti, l’uomo pensa solo a sviluppare la propria personalità, alla sua auto-realizzazione”.
Questo cambio di paradigma, a giudizio di Pertici, “ha alle spalle mutamenti antropologici enormi, di cui noi non abbiamo ancora tutta la consapevolezza”.
Nel finale dell’intervista, Pertici mette in evidenza il nesso tra il sommovimento del ’68 e il neoliberismo degli anni Ottanta. “Sembrerebbero due cose diversissime: il ’68 è un fenomeno di estrema sinistra, il liberismo di destra. Ma se guardiamo da storici la sostanza delle cose ci accorgiamo che dietro l’uno e l’altro c’è lo stesso tipo di approccio ultra-individualistico: ‘vietato vietare’ in campo economico e sociale come in campo etico e personale”.
E conclude con un’osservazione che fa pensare anche a ciò che accade ai vertici della Chiesa:
“Oggi l’intreccio fra umanitarismo ed estremo individualismo etico è la miscela delle élite internazionali”.