FABRIANO, 15 Settembre 2014 (Zenit.org) – Appena arrivi, si legge: “Impressionante è questo luogo. Qui è la casa di Dio e la porta del Cielo. In questa grotta i peccati degli uomini sono perdonati.” La scritta latina posta sopra la porta di entrata, “Terribilis est locus iste”, risveglia l’antico rispetto che si deve al mistero che quella grotta racchiude.
Si narra che san Francesco non osò entrarvi. Era il 1216 e lui era arrivato in questa Santa Grotta del Gargano per cercare il Perdono Angelico ma, sentendosi indegno di accedervi, si fermò in preghiera all’ingresso. Baciò la terra e su di una pietra incise un segno di croce a forma di Tau.
Nella Bibbia il Tau è il sigillo impresso sulla fronte ai predestinati all’eterna glorificazione e San Francesco voleva dire che la santa Grotta era il tempio prescelto dagli Angeli per la salvezza di coloro che sarebbero arrivati in questo luogo di culto, unico al mondo a non essere stato consacrato da mano d’uomo ed insignito, nei secoli, del titolo di “Celeste Basilica”.
Tutto inizia con un fatto storico le cui radici sono talmente lontane che leggenda e storia si mescolano un po’.
Nel 490 un ricchissimo del luogo, tale Elvio Emanuele, smarrisce il miglior toro della sua mandria. Dopo averlo a lungo cercato, lo rinviene all’interno di una impervia grotta (la “nostra” grotta!). Ma Elvio non riesce ad avvicinarsi al suo toro. Qualcosa gli impedisce di entrare e il toro non ne vuol sapere di uscire. Elvio, preso dalla rabbia, scaglia contro il toro una freccia, ma la freccia fa una cosa assolutamente inaspettata: cambia direzione, torna indietro e colpisce Elvio ad una gamba.
Ovviamente il folklore ha diverse versioni del fatto.
Comunque, quale che siano i particolari della storia, sappiamo che alcuni testimoni, terrorizzati, si recarono dal Vescovo (San Lorenzo Maiorano) che ordinò tre giorni di preghiera.
Ma al terzo giorno, l’8 Maggio 490, San Michele Arcangelo apparve in sogno al Vescovo e gli disse:
«Hai fatto bene a chiedere a Dio ciò che era nascosto agli uomini. Un miracolo ha colpito l’uomo con la sua stessa freccia, affinché fosse chiaro che tutto ciò avviene per mia volontà Io sono l’Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra. E poiché ho deciso di proteggere sulla terra questo luogo ed i suoi abitanti, ho voluto attestare in tal modo di essere di questo luogo e di tutto ciò che avviene patrono e custode. Là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini. Quel che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito. Va’, perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano».
Da quel momento, per il vescovo e la popolazione inizia una misteriosa avventura fatta di protezioni angeliche e di rivelazioni soprannaturali, mentre San Michele Arcangelo, in una terza apparizione, spiegava al vescovo, che:
«Ma la notte, l’angelo del Signore, Michele, apparve al vescovo di Siponto in visione e disse: “Non è compito vostro consacrare la Basilica da me costruita. Io che l’ho fondata, io stesso l’ho consacrata. Ma voi entrate e frequentate pure questo luogo, posto sotto la mia protezione”».
Quando si raccontano queste storie, il rischio è di annoverare tutto in leggenda per creduloni. Nella realtà, in questo luogo santo, sono successi tantissimi miracoli e sono state esaudite tante preghiere.
La sala degli ex voto ne dà testimonianza: racconti, disegni, date e nomi, di tantissime persone grate all’Arcangelo Michele per aiuti ricevuti.
Quel suo nome ebraico “Mi kha El”, che significa Chi come Dio, ce lo indica come un potente alleato per combattere il male.
L’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Karol Wojtyla, il 2 settembre 1974, vi si recò in pellegrinaggio. Egli sostò in preghiera e a coloro che lo sollecitavano ad alzarsi, disse: “Lasciatemi stare ancora un po’, qui si prega bene“. Sul registro dei visitatori illustri, il cardinale scrisse in polacco: “San Michele Arcangelo ci difenda nella lotta, contro la malizia e le insidie ci dia tutela“.
Il 24 maggio 1987, Karol Wojtyla, diventato Papa Giovanni Paolo II, si recò di nuovo in pellegrinaggio al Santuario e, in quella occasione, pronunciò uno splendido discorso. Disse fra l’altro: “A questo luogo sono venuto per godere dell’atmosfera di questo santuario… sono venuto per invocare l’Arcangelo Michele perché protegga e difenda la Santa Chiesa, in un momento in cui è difficile rendere una autentica testimonianza cristiana senza compromessi”.
Ed in questo periodo difficilissimo per i cristiani di tutto il mondo, non sarebbe sbagliato ricominciare a fare la preghiera di papa Leone XIII.
Una preghiera scritta nel suo studio privato, dopo aver sbrigativamente lasciato fuori con un “Niente, niente”, tutti coloro che lo seguivano preoccupati chiedendogli “Santo Padre, non si sente bene? Ha bisogno di qualcosa?”.
Poco prima, durante la messa, avevano visto Leone XIII drizzare energicamente ed improvvisamente il capo. Il suo sguardo era fisso su qualcosa. Guardava senza batter palpebra, ma con un senso di terrore e di meraviglia, cambiando colori e lineamenti.
Poi, come rinvenendo in sé, si alzò di scatto e si chiuse nello studio privato.
Dopo mezz’ora fece chiamare il Segretario della Congregazione dei Riti, chiedendogli di stampare e spedire a tutti gli Ordinari del mondo, una preghiera che lui aveva appena scritto.
La preghiera diceva così: «San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia; contro le malvagità e le insidie del diavolo sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, principe delle milizie celesti, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spinti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime».
La riforma liturgica del Concilio Vaticano II l’ha tolta, ma chi vieta di rimetterla?
Ma soprattutto, chi ci vieta di dirla tutti i giorni, con la saggezza di chi ha capito che «La nostra battaglia non è contro creature fatte di carne e di sangue, ma contro i dominatori e i principi di questo mondo di tenebre» (Ef 6,12)?