La Francia accusa le autorità siriane di ”esercitare in modo sistematico vincoli ed intimidazioni nei confronti dei rappresentanti dei media, mentre avrebbero l’obbligo di proteggere la libertà di stampa e i giornalisti”. Lo afferma una nota del ministero degli Esteri, dopo l’uccisione della reporter giapponese Mika Yamamoto ad Aleppo. Da Aleppo ma anche da Daraa e Hama continuano a giungere notizie di vittime e feriti civili. Il presidente Usa Obama è tornato a chiedere l’uscita di scena di Assad e ha affermato di non escludere un intervento se il regime dovesse usare armi chimiche.
Fausta Speranza ne ha parlato con mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco:
R. – Non sta a me entrare nei dettagli di quello che dice Obama. Io direi che in questo momento bisogna esigere da tutte le parti in conflitto il rigoroso rispetto del diritto umanitario internazionale, che come vediamo è andato a pezzi, per colpa sia degli uni che degli altri, entrambi i belligeranti. Quello che occorre esigere in questo momento è il rispetto dei limiti che sono già fissati dal diritto umanitario internazionale. Rimaniamo tutti senza parole. E’ difficile per tutti fare commenti, siamo un po’ tutti sbalorditi e profondamente rattristati, preoccupati anche per il futuro. Anche la partenza dei caschi blu della missione di osservatori delle Nazioni Unite è stata un colpo triste. Tre-quattro mesi fa si era riposta un bel po’ di fiducia nella loro missione e ora questa partenza ci piomba ancora in questa realtà. Però, la comunità internazionale non deve lasciare, deve continuamente tentare. Adesso speriamo che il nuovo inviato possa ancora ricucire.
D. – Si parla sempre di più di una guerra civile con dinamiche di tensione tra sunniti, sciiti e altre forze che vanno al di là delle ragioni della rivoluzione, del vento della cosiddetta “primavera araba”. La richiesta di democrazia, più rispetto di diritti umani è stata la spinta iniziale di questa rivolta. Però, sembra che adesso il conflitto, la guerra civile, abbia preso tutt’altro carattere. E’ così?
R. – Purtroppo, c’è l’impressione e la paura generale che le cose stiano sfuggendo di mano… Io vorrei rifarmi a una dichiarazione che in questi giorni ha fatto il nuovo inviato delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi, che ha detto: sì, il mediatore può facilitare la pace, però in fondo sono i siriani che devono cercare e trovare le vie della pace. La comunità internazionale, beninteso, deve aiutare, però occorre che i “compiti a casa” siano fatti dagli stessi siriani. Trovare questo cammino della pace è una cosa molto ardua, che costerà sacrifici, una cosa dolorosa, ma è una cosa che non possono fare altri al posto dei siriani, bisogna incoraggiarli veramente: che tutti i gruppi etnici e religiosi trovino insieme il cammino della pace. C’è anche l’apporto delle nostre comunità cristiane e sto vedendo qua e là l’apporto dei cristiani. In questa situazione così tragica la missione dei cristiani di essere per vocazione costruttori di ponti è molto chiara e ci sono qua e là begli esempi. Sto vedendo, non solo a livello personale, testimonianze molto belle, eroiche, anche a livello di comunità parrocchiali. Ci sono laici e giovani impegnati in questa missione – molto urgente e molto necessaria in questo momento – che è proprio quella dei cristiani, di costruire dei ponti.
Fonte: Radio Vaticana