“Viviamo la Terza Guerra Mondiale ma a pezzi”: così il Papa, parlando con i giornalisti sul volo di ritorno dal viaggio in Corea del Sud, ha sintetizzato l’attuale situazione internazionale, e mai – ahinoi- sintesi fu più efficace. Verrebbe da aggiungere che i pezzi sono montati assieme, costituendo tessere di un mosaico che, se guardato nella sua integrità, si rivela come l’incipiente resa dei conti fra diversi blocchi geopolitici, in un quadro, però, ben poco manicheo, in cui le tinte grigie e chiaroscurali sembrano essere le prevalenti.
Al centro del quadro sta la Russia, in questo momento sempre più fortino assediato dal blocco occidentale: la vicenda delle repubbliche separatiste del Donnbass, con gli scontri che continuano sanguinosi fra filo-russi ed esercito governativo, con vicende poco chiare come l’abbattimento del Boeing malese o il bombardamento del convoglio di aiuti umanitari proveniente dalla Russia, sembra essere ormai in un cul de sac di difficile uscita.
Soprattutto, sembra senza uscita il cul de sac in cui l’Occidente si è cacciato: le sanzioni economiche che Europa e Stati Uniti hanno imposto a Mosca sembrano danneggiare più che altro i paesi europei, Italia in primis, che della Russia sono i primi partner economici assieme alla Cina, ed hanno avuto come unico effetto quello di suscitare, da parte del governo russo, contro-misure che, a loro volta, colpiscono principalmente le economie europee.
Il tutto per la gioia di cinesi e latinoamericani, che si apprestano a surclassarci (e non è un caso che proprio recentemente sia Putin che il presidente cinese, Xi Jinping, si siano fatti una bella passeggiata nel “cortile di casa” degli Usa, rinserrando i rapporti con Cuba e Venezuela ma, soprattutto, con Brasile ed Argentina, paesi strategicamente cruciali), ma anche degli stessi Stati Uniti, che, ottenendo l’autolesionistica adesione alle sanzioni da parte dell’Unione Europea, hanno tagliato fuori il nostro continente da qualunque rapporto che potrebbe portarci ad uno smarcamento dall’influenza di Oltreoceano.
Sostanzialmente questo era, in fin dei conti, l’obiettivo che la Casa Bianca si prefiggeva fin dall’inizio. Quando alle classi dirigenti che ci malgovernano, non c’è che dire: se si prefiggevano di dimostrare quale branco di deficienti fossero, hanno ottenuto ciò che volevano in maniera addirittura brillante.
Strettamente collegato a questo è lo scenario Medio Orientale: il “Califfato” islamico è, in fin dei conti, l’ennesimo “mostro di Frankenstein” sfuggito al controllo dei suoi creatori statunitensi: vi ricordate quando, qualche tempo fa, Obama avrebbe voluto intervenire in Siria contro Assad a sostegno dei “ribelli”? Bene: i “ribelli” erano questi…
Assunto il controllo di una parte importante della Siria, si sono ricongiunti agli jihadisti già da tempo operanti in Iraq e, distaccatisi dal controllo di Al Qaeda (che, al momento della morte di Bin Laden, era, in realtà, già da tempo in mano ad altre figure, riconciliatesi con i “vecchi amici” della Cia, con cui allegramente era stata concordata la scampagnata siriana), hanno iniziato a perseguire con feroce determinazione il loro obiettivo autentico: l’annientamento del cristianesimo dalle terre che ne furono la culla ed, al tempo stesso, di tutto ciò che non è Islam (vedi il destino tremendo dell’antica comunità degli Yazidi) o, meglio ancora, di tutto ciò che non corrisponde alla loro visione integralista di Islam: vedi alla voce sciiti.
Moschee sciite sono state bruciate e gli sciiti sventuratamente raggiunti dalle truppe dell’Isis hanno avuto un destino non molto dissimile da quello dei cristiani e di tutti gli altri. Dal canto suo il governo americano, che ha accettato di intervenire con raid aerei con riluttanza e solo dopo ripetute insistenze, è sembrato, finora, più interessato ad ottenere le dimissione del Primo Ministro al- Maliki, per poi sostituirlo con tal al-Abadi.
A detta degli americani, al- Maliki, esponente sciita (cioè esponente della comunità che rappresenta il 60% degli iracheni), avrebbe condotto una politica esageratamente settaria, escludendo le minoranze, e così determinando l’esplosione di odio da cui è risorto il Califfato (ricordiamo che i guerriglieri dell’Isis sono in gran parte jihadisti convogliati in Siria ed in Iraq da tutto il mondo islamico e non solo…). Al- Abadi, per contro, dovrebbe essere il leader ecumenico che includerà tutti, ma proprio tutti, riportando la pacificazione fra gli iracheni. Mah…
L’unica cosa sicura è che con al-Maliki l’Iraq si era troppo avvicinato all’Iran (come del resto, vicino all’Iran è Assad) e con esso, neanche a dirlo, all’asse russo-cinese. Da qui il patto col Diavolo della Casa Bianca con i tagliagole per destabilizzare Siria ed Iraq, salvo poi perdere il controllo dei pendagli da forca che aveva sguinzagliato, in un’ennesima riedizione politico-militare della vicenda dell’apprendista stregone.
Una simile situazione si sta verificando in Libia: dopo l’abbattimento di Gheddafi, voluto dall’Occidente, ed a cui l’Italia non ebbe gli attributi per opporsi nonostante si trattasse di una vera e propria castrazione del nostro paese (anzi, mancò solo che Napolitano si mettesse a cantare “Tripoli bel suol d’amore” in casco coloniale…), l’ex “quarta sponda” è piombata nel caos più totale, permettendo, manco a dirlo a formazioni jihadiste (che Gheddafi aveva ben tenuto a bada) di dilagare.
Così il gruppo Ansar al-Sharia, quello che l’11 settembre 2012 uccise l’ambasciatore americano Chris Stevens, ha preso Bengasi e vi ha instaurato un emirato, proclamando per tutti la sharia: la jihad avanza a ranghi serrati alle porte di casa nostra.
E non è l’unico paese africano in cui gruppi integralisti stanno muovendo guerra: il caso della formazione nigeriana Boko Haram è solo il più noto. E c’è da chiedersi in che rapporti questi gruppi si porranno con colui che, proclamandosi Califfo, ne ha sostanzialmente rivendicato la leadership globale. Sullo sfondo l’attrito ormai annoso dell’Arabia Saudita (da tempo impegnata nel foraggiamento della jihad globale, sotto lo sguardo benevolente degli amici a stelle e strisce) con la Cina per l’influenza politico-economica sul continente nero.
Nel collasso generale, non poteva mancare l’ennesima recrudescenza dell’eterno conflitto israeliano-palestinese. Uscendo da qualunque considerazione di parte, va detto che questa crisi sembra ad usum delphini tanto del governo guidato dal “falco” Netanyau quando di Hamas, che rafforza la propria immagine di paladina dei palestinesi. Ma resta sempre il fatto che Hamas è strettamente legata agli Hezbollah libanesi, tramite quelli al regime di Assad e… insomma, si faccia due più due…
Lo scenario a cui stiamo assistendo è quello di uno sgretolamento sempre più veloce degli equilibri sorti dalla Seconda Guerra Mondiale e sopravvissuti, ben oltre la fine della Guerra Fredda, e fra mille attriti, fino ad oggi. L’epoca che viviamo sembra sempre più un momento di passaggio, quale solo una guerra mondiale può segnare. Una guerra, in effetti, già in corso.
Paolo Maria Filipazzi
articolo pubblicato su Campari & De Maistre