Le Iene fanno scuola, sì quelle di Mediaset che mischiano il loro giornalismo cabaret con inchieste da capitan Fracassa e assalti alle vittime come gli estorsori paparazzi di Corona. Ma anche quelle con la “i” minuscola, rabbiosi cagnacci della savana che si tuffano a piene zanne sulle carogne. Così ha fatto il Quotidiano Nazionale, gruppo che edita le testate Giorno, Resto del Carlino e Nazione: un’inchiesta in quattro puntate su quel che succede nel segreto dei confessionali italiani: i peccati commessi, il commento dei sacerdoti, le penitenze comminate.
Tutto virgolettato e pubblicato. Ma pure tutto falso e inventato. Solo per vedere l’effetto che fa e cippirimerlare con un doppio colpo sacerdoti e lettori.
L’articolo però, nonostante la truffa, non riusciva bene perché i preti non sono stati al gioco. Risposte impeccabili come magistero comanda e Catechismo insegna, anche alle domande più maliziose e piccanti della finta penitente.
Insomma, alla fine non c’era titolo, come si dice nel gergo. No problem, il direttore ha rimediato con chili di pepe e panna montata sparati a tutta pagina, secondo le più classiche regole del giornalismo cialtrone.
«Vai dallo psicologo», avrebbe intimato un confessore alla ragazza lesbica che cerca Dio, poi se si va a leggere si trova invece tutta la tenerezza del pastore che non ha la risposta per tutto, ma che accoglie e fa suo il problema altrui.
Un altro titolo parla di «Sacerdote irremovibile» che esclude la divorziata: «Non voglio scandali»! Ma alla giornalista aveva detto tutt’altro: «Quando la vita finisce non ci si pone davanti alla Chiesa ma davanti a Dio, è a Lui che dobbiamo rendere conto delle nostre azioni».
«Quando il direttore mi ha proposto questo lavoro ero molto perplessa», racconta Laura Alari, la peccatrice per finta, «perché sono cattolica e sapevo che violavo un sacramento. Ma lui ha insistito e così ho deciso che fingere in confessionale era l’unico modo per capire senza filtri cosa succede oggi nella Chiesa».
Com’è buono il direttore e quanto è brava la reporter cacciatrice. Proprio quel che si dice una giornalista dalla schiena dritta e dai saldi principi. Per capire la Chiesa, basta travestirsi da lesbica o divorziata e poi farsi il selfie. Se riesce sbiadito, c’è sempre il fotoritocco in redazione.
Embè, è la stampa bellezza, le avrà detto da Bologna il dottor Andrea Cangini, il megadirettore delle testate unite, sentendosi un po’ Humphrey Bogart e un po’ Robert Redford.
Comunque un tipo con tanto pelo sullo stomaco da ricoprire uno scimmione. Il sacramento violato e il prete raggirato? Che volete che sia: il diritto di cronaca vien prima di tutto, anche di Dio.
Lui insiste: «Se intervisti chiunque nell’esercizio delle sue funzioni, avrai risposte la cui veridicità sarà dubbia. Così, forzando le cose, potevamo sapere come il parroco medio si pone».
Quando si dice il giornalismo di inchiesta. E poi, chissenefrega che così si fa a pezzi ogni deontologia e si offende il sentimento di milioni di cattolici.
Per il Bogart della piadina, quando «un giornalista è d’inchiesta quasi sempre vìola la deontologia, fa parte del nostro lavoro. E poi, il valore di un sacramento è tale per chi lo riconosce, per chi ha fede. E non è il mio caso». Insomma, pure il direttore medio Cangini s’è iscritto al club dei “Je suis Charlie”, sezione Romagna mia.
Stia quindi a cuccia l’arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, che si è permesso di alzare la voce contro la truffa in confessionale, “delitto” che la Chiesa giudica grave.
D’accordo il direttore ateo se ne farà un baffo, ma la reporter sedicente cattolica? La confessione divulgata a mezzo stampa si può incorrere in una vasta gamma di pene, compresa la scomunica.
Ecco un buon argomento che la catto-giornalista farlocca potrebbe approfondire con un reportage a costo zero. Basterà che lo chieda al suo confessore, ma sarà difficile, dopo quanto ha combinato, che qualcuna la prenda ancora sul serio. “Perdonatemi padre perché ho peccato”. Ma va là patacca, che siamo mica su scherzi a parte!
Però, più che la poveretta, è su quel direttore che ha spacciato fango per cioccolato che dovrebbe ricadere l’iradiddio.
Non quella divina (non subito, almeno) ma quella laica e aconfessionale dell’Ordine dei Giornalisti. Che dovrebbe chiedersi chi ha dato la patente di giornalista a uno così che dichiara bellamente di impipparsene della deontologia professionale e si arroga il diritto di estorcere “confessioni” e non ottenendole se le inventa, perché tanto lui non ci crede.
Basterebbe questo a incriminarlo per corruzione di giornalisti, atti osceni davanti agli stagisti e vilipendio della ragione.
Le regole dell’Ordine non consentono di nascondere la propria identità, né di agire sotto mentite spoglie, se non quando la vita del giornalista è in pericolo.
Non è certo il caso della cronista del Qn che a questo punto, prima che dalla giustizia divina (lei dovrebbe crederci) dovrebbe essere sanzionata, insieme al suo direttore, da quella dell’Ordine dei Giornalisti.
Val la pena ricordare che con altri direttori l’Ordine è stato inflessibile e Magdi Allam addirittura espulso (poi riammesso) per offesa all’Islam.
Ma chi si fa beffe dei sacerdoti e di una sacramento della Chiesa cattolica può passarla liscia? L’Ordine risponda.
Luigi Santambrogio
articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana