L’abito rosso lo dobbiamo alla pubblicità della Coca-Cola, l’immagine di uomo imponente e carico di doni a “Era la notte prima di Natale”, poesia di Clement Clarke Moore (1779–1863), e alla matita di Thomas Nast (1840–1902), ma l’idea, anzi la leggenda di Babbo Natale così come lo conosciamo oggi non sarebbe stata possibile senza la testimonianza di vita – e di santità – di san Nicola (270-343). Costui, come alcuni sanno, fu un vescovo cattolico assai ortodosso e attento alla dottrina. Attenzione che però non lo distrasse, anzi, dalla carità vissuta nei confronti dei più bisognosi.
Trattandosi di figura vissuta nell’antichità, è verosimile che le informazioni in nostro possesso e la leggenda, in più passaggi, vadano di pari passo.
Il tratto comune fra san Nicola e Babbo Natale – nonché la ragione per cui il secondo altro non è che una rilettura moderna (e consumistica) del primo – sta nella generosità che il santo, in vita, dimostrò.
Si racconta che, rimasto orfano dei genitori, ereditò grandi ricchezze delle quali si servì per aiutare i poveri.
In più, da vescovo, Nicola pare esortasse i suoi sottoposti a raggiungere a casa i bambini impossibilitati – per malattia o per eccessivo gelo – ad uscire all’aperto, così da recapitare loro sì dei doni ma, soprattutto, il dono per eccellenza: la conoscenza delle Scritture e, in particolare, di Gesù Cristo.
Un dato interessante ci arriva da un’elaborazione di alcuni antropologi britannici effettuata qualche anno fa a partire dalle reliquie del santo, custodite a Bari; elaborazione dalla quale emerge un aspetto fisico non esattamente affascinante di san Nicola: basso (non arrivava al metro e settanta) e di carnagione olivastra, pare avesse lineamenti marcati, induriti da un naso rotto e barba incolta.
Un aspetto non esaltante che però non impedì a quest’uomo di spendersi per i più bisognosi fino a divenire – a sua insaputa, evidentemente – l’origine di una leggenda che dura tutt’oggi. Il potere dell’amore.