Sono molte le storie, i racconti, le leggende che circondano questo santo. La prima tradizione scritta risale all’opera di San Metodio, morto a Costantinopoli nell’847, quasi 500 anni dopo la scomparsa di San Nicola. Un episodio significativo e conosciuto in tutto il mondo cristiano lo troviamo nella Leggenda aurea di Jacopo di Varazze che, nella seconda metà del 1200, scrive:
“In quel tempo un suo vicino di casa, uomo assai nobile, voleva indurre alla prostituzione le sue tre giovani figlie e vivere di questo infame commercio. Nicola venne a conoscenza di questo delitto e ne provò orrore; allora avvolse una certa quantità d’oro in un panno e la gettò di notte attraverso la finestra: poi se ne andò di nascosto.
La mattina dopo, alzandosi, quell’uomo trovò l’oro ringraziò Dio e celebrò le nozze della sua figlia primogenita”.
Ci sono elementi – l’amore per la gioventù, il dono gratuito, l’agire di notte e nel nascondimento – che già fanno intuire come questo santo, tra i più popolari della cristianità, si sia trasformato poi in Babbo Natale.
E’ la logica della gratuità senza ricompense, l’amore disinteressato a fin di bene, “dalla larghezza – scrive Dante nel Purgatorio – che fece Niccolao alle pulcelle, per condurre ad onor lor giovinezza”. Che sconcertante attualità e segno di contraddizione con l’attuale società consumistica.
VESCOVO DI MIRA
Nicola nasce a Patara nella Licia, in Turchia, nel 270 da una famiglia agiata. La cultura del dono è una sua caratteristica. Figlio unico, anche se rimane orfano utilizza gli averi per aiutare poveri, malati e prigionieri. Il vescovo di Mira nota le doti del giovane Nicola: lo vuole tra i suoi sacerdoti. Alla sua morte, il popolo, come si usava a quel tempo, elegge Nicola successore.
Da nuovo vescovo di Mira, per aiutare i poveri non utilizza solo i beni personali ma anche quelli della Chiesa. Partecipa al Concilio di Nicea del 325 e difende la fede dei padri dall’eresia ariana che negava che Cristo fosse consustanziale al Padre.
Muore in fama di santità il 6 dicembre tra il 345 e il 350. Subito gli è attribuita una serie impressionante di miracoli. Salva alcuni marinai da un naufragio e diventa il patrono dei naviganti. Calma, poi, una tempesta e mette in salvo tre ufficiali condannati a morte sicura dall’imperatore.
Diventa un santo popolare e conosciuto a Oriente e Occidente.
FINO IN PUGLIA
La fama di San Nicola è all’origine di un clamoroso furto. Nel 1087, 62 marinai baresi caricano una nave per trasportare grano ad Antiochia. In realtà, è una manovra diversiva. Di notte, mentre ancora si tratta sul prezzo di vendita del grano, una parte di questi marinai si dirige verso Mira e trafuga le ossa del santo, portandole in gran fretta in patria.
Da allora Nicola di Mira diventa Nicola di Bari e diventa ancor più noto in tutto l’Occidente.
Le reliquie del santo arrivano nella città pugliese il 9 maggio.
I marinai consegnano il corpo al benedettino Elia, abate di San Benedetto, il quale edifica sul posto la Basilica di San Nicola. Il primo ottobre 1089, Papa Urbano II, giunto appositamente nella città pugliese, fa trasferire le reliquie nella cripta.
La chiesa sotterranea è vasta quanto il transetto ed è sostenuta da 26 colonne varie abbellite da capitelli romanici.
Sotto l’altare centrale riposa il corpo del santo e uno delle absidi laterali è destinato al culto ortodosso perché, da sempre, San Nicola è un santo ecumenico, patrono della Russia e venerato anche dalla Chiesa ortodossa. A Bari esiste un Istituto ecumenico che porta il suo nome.
L’INVENZIONE DI BABBO NATALE
Il passaggio da San Nicola a Santa Klaus e Babbo Natale avviene in circa 900 anni. La storia racconta che la leggenda di Babbo Natale è arrivata sulle coste americane sin dalle origini dai Paesi Bassi, perché l’isola di Manhattan era olandese, prima di essere ceduta agli inglesi.
New York in origine era Nuova Amsterdam. E olandese è la tradizione del Sinterklass: un vescovo, vestito di rosso, con la barba bianca che si cala dai camini per portare i doni ai bambini.
Sinterklass significa San Nicola e a lui è dedicata una delle prime chiese di Manhattan nel 1642.
L’originale era, dunque, San Nicola poi evolutosi nei vari Sinterklass, Santa Claus e, passando per la fantasia letteraria dello scrittore Washington Irving nel 1809 e di Clemente Clark Moore nel 1822, a Babbo Natale come è da noi conosciuto.
Al di là della strumentalizzazione consumistica, San Nicola trasmette ancora oggi un richiamo attualissimo sulla destinazione sociale dei beni.
QUELL’OPERAZIONE COMMERCIALE
Nel 1931 l’economia mondiale naviga in acque agitate. Crisi di liquidità delle banche, 14 milioni di disoccupati solo negli Usa, crollo di industrie che sembravano inaffondabili, agricoltori sul lastrico.
La Coca Cola ha necessità di lanciare una nuova bibita in un contesto poco propenso al consumo. Secondo lo scrittore Nicola Lagioia, l’azienda ridisegna la figura di Santa Claus, cancellando “dai propri messaggi qualunque sfumatura aggressiva o consolatoria”, per focalizzare l’attenzione “sull’illusione di un mondo sospeso in cui una tiepida ma infinita gioia di vivere occupasse ogni spazio disponibile”.
La Coca Cola, inoltre, per la prima volta si affaccia sulla grande distribuzione e può essere acquistata in confezioni da sei bottiglie nei supermercati.
Punta a catturare l’attenzione di chi orienta gli acquisti: i figli. Occorre educarli al consumo. All’inizio lo fa con la sponsorizzazione dei programmi scolastici, mentre la campagna pubblicitaria vera e propria è affidata a Archie Lee e Haddon Sundblom.
I due esperti di marketing devono evitare di rivolgersi direttamente ai bambini, perché la Coca Cola contiene caffeina.
“L’espediente – scrive Nicola Lagioia nel libro Babbo Natale (Fazi Editore) – fu quello di arruolare un messaggero, un tramite, un intermediario tra infanzia e mondo degli adulti che fosse in grado di catalizzare, con la sua semplice presenza, l’immaginazione e i desideri dei bambini”.
Il Babbo Natale creato fa convivere l’aura di essere soprannaturale con l’estetica dell’uomo comune.
Sundblom lavora su un Babbo Natale del 1862 dandogli le sembianze del vicino di casa, un commesso viaggiatore.
“Per far sognare la gente – spiega Lagioia – nel modo più sereno e rassicurante possibile bisognava pescare in una fondamentale intersezione tra realtà e mondo immaginario, vale a dire nell’ideale, perennemente in fieri, che una cultura ha di sé stessa”.
Fonte: Aleteia