In principio fu la depilazione, poi venne la chirurgia plastica, ed oggi siamo al reggiseno. Per uomini. Purtroppo non è uno scherzo ma l’ultima trovata che qualcuno – con amara ironia – commenta con la parola “mancession”, recessione del maschio.
Di certo, a livello sociale, la figura che sconta maggiore crisi, prima di quella maschile in senso lato, è quella paterna, progressivamente assente: in una grande capitale europea come Berlino ben 134.000 nuclei familiari su 430.000 sono composti da ragazze madri sole con il loro bambino (Repubblica, 20.4.2011) e la musica, in Italia, è la stessa se non perfino peggiore con oltre l’80% dei nuclei monoparentali costituito da donne: significa che nel nostro Paese, stando ai dati del 2011, a più di due milioni di figli non è assicurato il riferimento paterno (Istat, 30.7.2014).
Oltre che assente, il padre potrebbe perfino diventare superfluo: a sentire i ricercatori del laboratorio Kallistem di Lione, infatti, a breve, nel 2017, la produzione di spermatozoi artificiali consentirà, pensate, la nascita dei primi senza padri biologici.
Polverizzata o quasi la figura del padre – sempre più e già ora, da un lato, allontanato dai figli tramite il divorzio e, dall’altro, rimpiazzato dall’invisibile donatore di sperma – rimane però un’ultima decisiva demolizione da compiere: quella dell’identità maschile, che di quella paterna è la fondamentale premessa.
E quale modo migliore di destrutturare l’uomo se non quello di de-virilizzarlo, di presentarlo come donna mancata, come penosa parodia di se stesso?
Attenzione: qui non si incita a nessuna forma di discriminazione verso i maschi con tendenze omosessuali né si vuole fare del complottismo antropologico. No, qui si vuole semplicemente prendere atto della realtà, sempre che i fatti non diano fastidio.
E i fatti sono chiarissimi, come dettagliatamente denuncia il celebre testo del francese Éric Zemmour, L’uomo maschio (Le Premier sexe, Denoël 2006): viviamo sempre più una società sempre più “femminilizzata”, dove l’essere maschi in senso tradizionale – evidente, virile, senza particolari indecisioni – è considerato disvalore.
Perché in fondo l’uomo maschio, si dice, è solo uno dei tanti maschi possibili. Perché l’uomo maschio, si insinua, è spesso violento, insensibile, facilmente molestatore mentre invece la donna – questo il messaggio che passa – è figura intrinsecamente buona e aliena, salvo trascurabili eccezioni, da ogni malvagia inclinazione.
Perché è giusto che le persone con tendenze non eterosessuali siano orgogliose di come sono, perché è sacrosanto che lo siano le donne, ma l’uomo maschio no, lui deve redimersi e fuggire da un’identità caricaturale, da un “potere” che nella storia e nella civiltà ha finora esercitato abusivamente, approfittando di un ruolo che non gli appartiene.
Al di là di inutili giri di parole l’idea di fondo, in sintesi, è questa. E la soluzione non sta certo nel rispolverare «l’omo ha da puzzà», inelegante adagio caro a Monica Bellucci, né nel rilanciare il mito primordiale del cacciatore: il problema, qui, è molto più serio.
E il solo modo per uscirne, la sola possibilità di capire come diavolo sia stato possibile arrivare fin qui, con la non dichiarata ma effettiva colpevolizzazione dell’uomo maschio, è alzare lo sguardo osservando come l’ormai prossima rimozione antropologica del maschio sia stata preceduta da quella sociale del padre, e come la rimozione del padre in famiglia, a sua volta, sia stata preceduta quella religiosa del Padre.
A qualcuno apparirà semplificativo – in parte lo sarà pure -, ma se pensiamo che il rimedio alla virilità minacciata sia il Viagra, beh, siamo fuori strada.
La realtà è che il femminismo, culturalmente parlando, ha conquistato molto più spazio di quanto si pensi.
E lo stesso vale per il movimento LGBT, come dimostrano le tesi di Umberto Veronesi, diffuse senza imbarazzo alcuno, per cui esisterebbe un amore, guardacaso quello omosessuale, più puro degli altri, o i pensieri – un tempo dai più rigettati, ma che di questo passo verranno a breve riconsiderati – di Mario Mieli (1952–1983) guru della cultura omosessualista italiana secondo cui «l’eterosessualità […] è patologica» (Elementi di critica omosessuale, Feltrinelli 2002, p. 39).
Ma tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’originale rimozione religiosa del Padre.
Smettendo di credere in Dio, guida celeste della vita, la comune stima verso il padre, guida terrena della famiglia, è andata offuscandosi con la conseguenza che oggi neppure dell’uomo maschio, in fondo, si sa che farsene.
Inizio di un cambiamento? Sarà. Ma le culle vuote e le proiezioni demografiche dicono che questo trend, almeno in Europa, somiglia più che altro all’inizio della fine.
Fonte: il blog di Giuliano Guzzo