Anche in questo travagliato periodo quaresimale, come ogni anno, siamo invitati a fermarci qualche momento per comprendere quali siano le “zavorre” spirituali, spesso inconsapevoli, che ci impediscono di aprirci completamente alla Grazia di Dio e di far nascere in noi “l’uomo nuovo” per piacere di più a Dio e trarre poi i frutti della perfetta amicizia con Lui.
Ci viene in aiuto innanzitutto il Catechismo della Chiesa cattolica (qui)
I Vangeli parlano di un tempo di solitudine di Gesù, immediatamente dopo che ebbe ricevuto il battesimo da Giovanni: “Sospinto” dallo Spirito nel deserto, Gesù vi rimane quaranta giorni digiunando; sta con le fiere e gli angeli lo servono [Mc 1,12-13 ]. Terminato questo periodo, Satana lo tenta tre volte cercando di mettere alla prova la sua disposizione filiale verso Dio.
La quaresima indica perciò i giorni di penitenza e di privazioni volontarie come il digiuno, l’elemosina e la condivisione fraterna (opere caritative e missionarie) durante i quali veniamo invitati a purificarci per far nascere in noi l’uomo nuovo. Perciò questo è un tempo di riparazione ed espiazione per noi, per rafforzarci nel riprendere la buona battaglia.
Come già nei profeti, l’appello di Gesù alla conversione e alla penitenza non riguarda anzitutto opere esteriori, “il sacco e la cenere” (come leggiamo nell’Antico Testamento che fecero quelli di Ninive quando Giona li avvertì che il Signore voleva distruggere la città per i loro peccati. E furono salvati), oppure solo i digiuni e le mortificazioni, ma riguarda la conversione del cuore, quella che si chiama la penitenza interiore. Senza di essa, le opere rimangono sterili e menzognere.
La penitenza interiore è un radicale riorientamento di tutta la vita, un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un’avversione per il male, insieme con la riprovazione nei confronti delle cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, essa comporta il desiderio e la risoluzione di cambiare vita con la speranza della misericordia di Dio e la fiducia nell’aiuto della sua grazia.
Questa conversione del cuore è accompagnata da un dolore e da una tristezza salutari, che i Padri hanno chiamato “animi cruciatus [afflizione dello spirito]”, “compunctio cordis [contrizione del cuore]”.
Afferma ancora il Catechismo: il perdono del peccato e la restaurazione della comunione con Dio comportano la remissione delle pene eterne. Rimangono, tuttavia, le pene temporali. Il cristiano deve sforzarsi di sopportare pazientemente le sofferenze e le prove di ogni genere e, venuto il giorno, affrontando serenamente la morte, di accettare come una grazia queste pene temporali del peccato; deve impegnarsi, attraverso le opere di misericordia e di carità, come pure mediante la preghiera e le varie pratiche di penitenza, a spogliarsi completamente dell’ “uomo vecchio” e a rivestire “l’uomo nuovo”.
Alla mistica ungherese Suor Maria Natalia Magdolna, a proposito della penitenza interiore, Gesù dà tre insegnamenti: “1) Quando ti offendono, rifletti sul fatto che io l’ho permesso; 2) Accetta e perdona anche se l’offesa è ingiusta. Ti servirà come espiazione di peccati nascosti (cioè quei peccati di cui non abbiamo nemmeno la consapevolezza, ad esempio i cosiddetti peccati di omissione, cioè il bene non fatto); 3) Se possibile non ne parlare”.
E si lamenta con lei perché noi cerchiamo consolazione alle nostre ferite parlandone con tutti meno che con lui, perché se ci fidassimo di lui non avremmo amarezze.
Lamentarsi delle proprie miserie allontana da Dio, perché con le labbra si esprimono l’egoismo, la gelosia, la falsità e l’orgoglio. Gesù le dice che molti si dannano permettendo alle loro labbra di peccare contro l’amore. Infatti è da un versetto del Siracide che proviene il proverbio “Ne uccide più la lingua che la spada”
Il digiuno della lingua è il digiuno dalla collera, dal broncio, dalle offese e dalla maldicenza, “Per questo – spiega Gesù a Suor Natalia – le vostre Ore Sante non hanno effetto, nonostante le vostre braccia tese”. Quindi pregare e chiedere a Dio le grazie, avendo in noi imperfezioni che l’offendono, non Gli permettono di esaudirci.
Quando ci troviamo di cattivo umore, o ci sentiamo abbattuti, vuol dire che Satana ci sta tentando e allora dobbiamo dire col cuore: “Gesù ti amo!” E lui fuggirà.
Infatti, come ha tentato Gesù nel deserto, così tenterà anche noi durante questo periodo di purificazione e di riparazione, ma come lo ha smascherato Gesù così noi, dichiarando al Salvatore il nostro amore per lui, smascheriamo il nemico e lo mettiamo in fuga.
A conferma che il lamentarsi, anche con Dio, di una prova ne allontana la grazia che ne potrebbe derivare, il Manuale della indulgenze, nell’edizione rivista durante il pontificato di S. Giovanni Paolo II, stabilisce che “Viene concessa l’indulgenza parziale al fedele che – nel compiere i suoi doveri e nel sopportare le avversità della vita – innalza con umile fiducia l’animo a Dio, aggiungendo, anche solo mentalmente, una pia invocazione”.
Quindi la sofferenza per un’avversità, fisica o morale, se è offerta con rassegnazione e con fiducia nel Signore, giova ad espiazione dei nostri peccati, e ci santifica.
Importante è quanto dice Gesù alla Suora: “La salvezza eterna non dipende né da ieri, né da oggi, né da domani, ma dall’ultimo momento, Per questo dovete vivere in un atteggiamento penitenziale continuo. Siete salvi perché io vi ho salvato, non per i vostri meriti dai quali discende unicamente il grado di gloria che riceverete nella vita eterna. Per questo dovete costantemente praticare due cose: un’espiazione perseverante per i peccati commessi e pregare frequentemente con il cuore così: O mio Gesù, nelle tue mani affido il mio spirito!
L’anima che desidera essere monda giunge al giudizio già in grado di stare con l’Amore stesso per l’eternità. Invece l’anima orgogliosa detesta questo amore, lo evita e questo è l’inferno.”
Non deve stupire quanto riferisce Suor Maria Natalia dei suoi colloqui mistici. Nel “Dialogo della Divina Provvidenza” di S. Caterina da Siena scopriamo cosa avviene esattamente al momento della nostra morte.
Il Signore le fa conoscere che nel trapasso c’è un momento, pochi attimi prima che l’anima si stacchi dal corpo, in cui ognuno vede chiaramente il proprio stato e se una persona ha lasciato la vita di grazia per rotolarsi nei peccati, abbandonandosi alla sensualità e alla superbia fino a perdere completamente la coscienza della sua reale condizione spirituale, a quel punto subentra la disperazione della salvezza.
Se quell’anima avesse la capacità di pentirsi delle offese che ha arrecato al Creatore e invocasse la sua misericordia forse ancora potrebbe salvarsi, invece essa, rendendosi conto di meritare il castigo eterno, si dispera unicamente per la sua triste sorte ma, così facendo, offende maggiormente e ancora una volta Dio.
Infatti, anziché affliggersi per non aver corrisposto all’infinito amore di Nostro Signore e domandargli perdono e misericordia per le ingiustizie commesse nei suoi confronti, si addolora solamente per la punizione che comprende di meritare.
Tale superba disposizione dell’anima provoca la giustizia di Dio, che in quel momento la condanna alla dannazione eterna. Ma è pure essa stessa che, con il suo libero arbitrio “non aspetta nemmeno di essere giudicata bensì con disperazione e con odio si allontana da questa vita per raggiungere il luogo meritato, e ciò prima ancora che l’anima si stacchi dal corpo”
“Il disprezzo della misericordia divina è un peccato che non viene perdonato né in terra né in Cielo – spiega Dio a S. Caterina – cosicché lo reputo il più grave di tutti i peccati.” E continua affermando che per quanto riguardò Giuda tale peccato fu peggiore del suo tradimento.
Afferma Don Dolindo Ruotolo nel suo “Commento al Vangelo di Matteo” a proposito delle tentazioni di Gesù nel deserto: “Dall’umiltà si sale a Dio. Umiliarsi, farsi piccoli, rendersi come fanciulli, confidare, abbandonarsi a Dio è la via delle grandi elevazioni mistiche. Solo svuotando completamente se stessi si può lasciare posto al Signore e realizzare il regno di Dio dentro di noi.”
Perciò questo tempo di quaresima è tempo di espiazione, cioè di preghiera e penitenza, per far sorgere in noi l’uomo nuovo, secondo quanto leggiamo nei Vangeli sinottici, cioè quelli di Matteo, Marco e Luca, un identico invito di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.”
Un esercizio di riparazione è riconoscere le nostre colpe in quanto offese a Dio, rinnegando e disprezzando con un perfetto pentimento quanto abbiamo commesso. Perché, come afferma l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera: “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se invece lo riconosciamo, Gesù che è fedele e giusto ci perdonerà e ci purificherà da ogni colpa”
Infatti il Signore dice a Suor Maria Natalia che farà sparire i peccati di cui ci pentiamo veramente facendole intuire che nel giudizio finale trasformerà in gioielli quelli di cui ci siamo sinceramente pentiti.
Si richiede tuttavia in noi la riparazione e l’espiazione non solo delle nostre colpe ma anche di quelle del nostro prossimo, con un atto di carità spirituale. Gesù difatti le dice che un’anima da sola ne può salvare migliaia.
La Madonna infatti invita Suor Natalia a sopportare il martirio della sofferenza per riparare tutte le offese della nostra vita e poi, con la sofferenza residua, accolta pazientemente, si convertono i peccatori ostinati e si dà gloria a Dio, perché le anime salvate con le nostre sofferenze possono anche raggiungere la santità. La S. Vergine però spiega a Suor Natalia di non cercare altre sofferenze oltre quelle che già abbiamo.
Con le devozioni dei primi venerdì e dei primi cinque sabati del mese già ripariamo alle offese arrecate ai Sacratissimi Cuori di Gesù e Maria, con l’offerta paziente poi delle nostre sofferenze espiamo oltre alle nostre anche le colpe altrui.
A riprova che quanto riferisce Suor Natalia proveniva veramente dalla Madre di Dio ricordiamo che Fatima la S. Vergine affermò che molti peccatori finiscono all’Inferno perché nessuno si sacrifica per loro.
Nel primo incontro, dopo aver predetto che sarebbero andati in Paradiso, chiese ai bambini se volevano offrirsi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Dio avrebbe mandato loro per riparazione dei peccati con cui veniva offeso e supplica per la conversione dei peccatori. Sappiamo difatti che Giacinta e Francisco morirono offrendo le loro sofferenze con tale intenzione.
Don Dolindo spiega poi che la preghiera va dove è diretta: se si cerca il Regno di Dio giunge fino a Dio e ricade su di noi come ricchezza celeste; se invece cerchiamo noi stessi allora la preghiera rimane nella nostra infelicità. e che per questo Gesù ha detto: “Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato per giunta”.
E aggiunge che tutta la nostra giornata si deve trasformare in una “supplica ardente a Dio” sottolineando la necessità di pregare per i sacerdoti, anche quelli manchevoli, perché i preti sono i “i grandi dimenticati” in vita e, dopo, “abbandonati alle loro risorse”
Ci incoraggia S. Paolo con la lettera ai Galati: “Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna.”
Conviene quindi star sempre pronti con le lampade accese per non imitare le vergini stolte (Mt 25, 1-12) affinché possiamo essere come quelli di cui nell’Apocalisse sta scritto “Beati i morti che muoiono nel Signore.” (Ap 14,13)
Paola de Lillo