La sospensione semestrale inflitta a padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria condannato dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia dopo che, durante la sua trasmissione quotidiana, tempo fa aveva attaccato duramente la relatrice della legge sulle unioni civili, Monica Cirinnà, verrà da molti letta – suppongo – come la punizione di uno che, in fondo, se l’è cercata. Altri ancora, invece, intenderanno questa sospensione, come il giusto contrappasso per un’emittente che, nel novembre dello scorso anno, aveva a sua volta sospeso dalla sua trasmissione Padre Giovanni Cavalcoli, domenicano reo d’aver associato causalmente – secondo talune interpretazioni – l’approvazione delle unioni civili a eventi sismici e catastrofici.
Pochi, temo, saranno invece coloro che sapranno inquadrate il fatto nella sua giusta dimensione, che è quella d’un progressivo restringimento della libertà di opinione dei cattolici. Se infatti da una parte è vero che neppure la libertà di espressione in quanto tale, ultimamente, se la passa bene (si pensi alla sospensione, irrogata sempre in questi giorni, a Filippo Facci, colpevole d’aver scritto la propria repulsione per l’Islam), dall’altra è innegabile come siano soprattutto i cristiani i destinatari di un bavaglio ogni giorno più grande.
Un primo segnale venne, nel 2004, quando la candidatura a Commissario europeo di Rocco Buttiglione fu silurata perché costui, in quanto cattolico, dichiarò di ritenere l’atto omosessuale peccaminoso.
Nel 2008 fu invece il turno nientemeno che di Papa Benedetto, direttamente invitato dal rettore dell’Università di Roma “La Sapienza”, all’inaugurazione dell’anno accademico che poi, però, si tenne senza l’intervento del pontefice, la cui presenza, fecero capire 67 docenti della stessa università, non era gradita.
Clamoroso, nel 2013, fu poi il caso di monsignor Joseph Léonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles e primate del Belgio, letteralmente assalito da un gruppo di Femen nel corso di un evento pubblico.
Recentemente poi, Xavier Novell, il vescovo più giovane di Spagna e tra i più giovani del mondo, è dovuto uscire dalla chiesa scortato dalla Polizia tra insulti e le minacce.
La sua grave colpa? Aver dichiarato come l’eclissi della figura paterna giochi un ruolo significativo nella biografia di tante persone con tendenze omosessuali. Ora, direi che è chiaro – alla luce di questa breve, ma comunque sintomatica panoramica – come la sospensione di padre Livio sia solo l’ultimo episodio di una lunga serie.
Il che, a mio avviso, dovrebbe stimolare una qualche riflessione, soprattutto in casa cattolica. Ci si dovrebbe in particolare interrogare sul fatto che, nel mondo occidentale, di fatto la Chiesa sia un’ospite sempre più sgradita.
Ma come – mi si obietterà subito – non vedi quant’è amato Papa Francesco, o quanto questo o quel prelato vengono intervistati e ascoltati sui media?
Certo, tutto vero. Il punto però è che i cattolici, oggi, van bene solo se parlano di pace nel mondo, di contrasto al global warming, di accoglienza, di Ius soli.
In pratica il credente è cioè ben accetto solo quando sposa – più o meno convintamente – l’agenda progressista. Quando invece un cattolico fa coming out, per dirla con un’espressione à la page, dicendo coerentemente la propria su temi quali l’aborto procurato, la famiglia, l’omosessualità e l’eutanasia, ecco che il suo diritto di espressione inizia a diventare un problema, un’ingerenza, una minaccia alla libertà.
Perché accade questo? Semplice: perché il mondo, quello stesso mondo che si riempie quotidianamente la bocca di tolleranza e «muri da abbattere», odia la Chiesa.
Trattasi di un odio sapientemente dosato, intendiamoci; un odio che, per il momento, trascolora nell’invito ai cattolici ad essere prudenti, quando aprono la bocca. Ma pur sempre odio è.
Dopotutto, non si può dire i cristiani non siano stati avvertiti per tempo: «Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando – disse infatti Gesù – e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome» (Lc 6,22).
Quindi di che ti lamenti, mi si potrebbe ancora contestare. Personalmente di nulla.
Fa tuttavia un certo effetto, in questi tempi confusi, vedere tanti fratelli che non colgono la gravità della situazione, persuasi del fatto che con questo mondo si possa ancora dialogare, quando invece è impossibile.
Ed è impossibile, si badi, non per questioni di stile; non si tratta cioè di bon ton, di modi di dire le cose, di parole da calibrare meglio. Il punto, come già detto, è semplicemente che oggi la cultura dominante – e, ahimè, pure molti battezzati – la Chiesa non la vogliono vedere manco in cartolina, a meno che i credenti, intimoriti, non inizino a parlare sottovoce occupandosi di filantropia, buoni sentimenti ed ecologismo.
In quel caso, problemi zero. Anzi, portoni spalancati da università, grande stampa e salotti buoni. Alla luce però delle grandiose verità cui il quieto vivere chiede di rinunciare – e tenendo presente che il Principale, che pure poteva cercare accordi con Caifa o con Pilato, scelse la fine che scelse -, conviene chiederselo: ne vale davvero la pena?
Fonte: Il blog di Giuliano Guzzo