Quirinale, corre il peggio della Prima Repubblica – di Riccardo Cascioli

Il Pd spaccato, tutto il centrosinistra in ebollizione, grillini che provocano Bersani, Pdl e Lega unite ma sostanzialmente da spettatori. Si potrebbe riassumere così la prima giornata di votazioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Franco Marini, il nome uscito dall’accordo tra Pd e Pdl, alla prima votazione non ce l’ha fatta a raggiungere i 672 voti necessari (quorum che resta per le prime tre votazioni) per essere eletto.

Si è fermato a 521, molto al di sotto: ci sono stati circa 200 “franchi tiratori” nelle file della sinistra: Sel ha votato il candidato dei grillini, Stefano Rodotà; i seguaci del sindaco di Firenze Matteo Renzi hanno votato l’ex sindaco di Torino Chiamparino, che nella seconda votazione ha visto salire le proprie preferenze a 90 (41 alla prima) a fronte di un mare di schede bianche.

 

 

Il dato politico più rilevante della prima giornata è stato comunque l’ennesimo schiaffo preso da Bersani, che da quando ha “non” vinto elezioni che doveva vincere a mani basse, sembra deciso a espiare le proprie colpe infilando un’umiliazione dopo l’altra. Dopo un mese e mezzo di chiusure a Berlusconi, l’accordo in extremis con il Pdl sul nome di Marini ha provocato una rivolta nel partito e fra gli elettori.

Oggi potrebbe essere la giornata decisiva, perché dopo la terza votazione al mattino con maggioranza di due terzi, è prevista nel pomeriggio la prima votazione in cui sarà sufficiente la maggioranza assoluta, 504 voti.

C’è anche la proposta di rinviare a sabato mattina la quarta votazione, ma il Pdl ieri sera non era d’accordo. Fatto sta che scendendo il quorum qualsiasi soluzione appare possibile: il Pd potrebbe essere tentato di ripescare Romano Prodi, che ha la possibilità di essere votato dal Movimento 5 Stelle, così come potrebbe rafforzarsi Rodotà, oppure crescere a sorpresa Chiamparino. O ancora rispuntare qualche altro nome finora rimasto sullo sfondo: Massimo D’Alema, Emma Bonino, Giuliano Amato.

In ogni caso, scorrendo i nomi che si sono fatti e continuano a farsi in questi giorni, due dati appaiono evidenti: il primo è che comunque sarà un nome pescato nel centrosinistra. Il centro e il centro-destra chiedono garanzie, ma non sono stati capaci di indicare un solo nome spendibile, un personaggio autorevole che si imponesse per il suo profilo istituzionale, per la sua serietà. Poteva forse essere fatto il nome dell’ex presidente del Senato Marcello Pera, ma a ben vedere nel centro-destra c’è il deserto assoluto.
 
Non che i nomi che si stanno facendo in queste ore siano entusiasmanti, tutt’altro: si può solo sperare nel meno peggio. Ma che il compito di proporre un nome sia lasciato solo a sinistra e grillini, con un Berlusconi che quasi quasi tra tutti preferirebbe D’Alema, la dice lunga sul deserto culturale – prima ancora che politico – che regna nel centro-destra.

La verità è che in questi venti anni di Seconda Repubblica il centro-destra ha governato una buona parte, ma non ha costruito nulla se oggi, pensando a un possibile capo di Stato, non viene in mente un solo nome da giocare. Se solo si pensa a quali uomini di stato la Dc – e non solo – ha prodotto fino alla fine degli anni ’80 si capisce il disastro culturale e politico degli ultimi anni.

Lo stesso dicasi per il mondo cattolico, che da tempo ormai non è in grado di esprimere personaggi dall’alto profilo istituzionale. Quelli che ancora in questi giorni vengono presentati come cattolici – vedi Marini e Prodi – non sono altro che residuati di un’altra epoca, peraltro appartenenti alla schiera degli “adulti”, ovvero di quelli che la fede è una cosa privata, in politica pensiamo come gli altri.

Anche questo è il segno di un deserto culturale, che dovrebbe far sorgere qualche domanda a chi guida la Chiesa italiana: non si tratta di studiare un progetto politico o di riproporre le famigerate scuole di politica (che hanno avuto risultati devastanti), ma di riannunciare e testimoniare la fede come un evento che abbraccia tutta la vita, che c’entra con ogni aspetto della realtà, che incide nella comunità in cui viviamo. Vale a dire che genera una cultura. Il resto, anche dei nuovi politici, viene come conseguenza.

 

 

Il deserto comunque – ed è qui il secondo dato – riguarda anche la sinistra. In fondo tutti i nomi che sono stati fatti – ad eccezione di Chiamparino, che però è un politico sui generis – sono gli avanzi della Prima Repubblica. Basti pensare che un partito neonato, come il M5S, che si presenta come un elemento di rottura con il passato, cerca di presentare come nuovo un vecchio arnese ideologico come Rodotà e sarebbe addirittura disposto a votare Prodi, che fino all’altro giorno era considerato l’ultimo boiardo di stato. Vuol dire che si sta davvero raschiando il fondo del barile e che la Seconda Repubblica, a parte qualche giudice arrivista, non ha prodotto nulla di nuovo.

 

 Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana