La storia che stiamo per raccontare ha inizio nell’autunno del 1943, proprio mentre al di là del Tevere, tra le mura vaticane, si stava valutando nei minimi particolari la questione relativa ai rifugiati nelle strutture extraterritoriali con l’ausilio del penitenziere di San Pietro Aquilino Reichert, cappuccino.
Attraverso una paziente e minuziosa spigolatura nell’archivio Generale della Società del Sacro Cuore — un istituto di diritto pontificio sul Gianicolo, fondato agli inizi del 1800 da Madeleine-Sophie Barat — chi scrive ha rinvenuto dei documenti rimasti finora nascosti: si tratta del Giornale della Casa «Villa Lante» nel quale le religiose annotavano tutti gli avvenimenti che di giorno in giorno riguardavano l’istituto, a quel tempo sotto la guida spirituale della superiora generale di origini ispaniche Manuela Vicente, donna determinata e dotata di grande fede, coadiuvata dalla madre vicaria Giulia Datti.
Le due suore si occuparono degli aspetti logistico-organizzativi per facilitare l’ospitalità ai rifugiati ebrei e a molti altri antifascisti. Insieme alle consorelle non solo non si sottrassero al delicato compito che il Papa aveva affidato loro, ma riuscirono a creare un clima sereno e familiare con quanti varcavano la soglia della Casa per cercare rifugio.
In effetti i rapporti idilliaci tra Pio XII e questa congregazione religiosa risalivano agli anni Trenta quando all’allora cardinale Pacelli era stato affidato il ruolo di protettore della Società del Sacro Cuore e, in seguito, si erano consolidati con madre Manuela Vicente (21 novembre 1928 – 21 gennaio 1946), alla quale il Papa pensò di rivolgersi proprio allo scopo di trovare ricovero per alcuni perseguitati di religione ebraica che correvano il rischio di essere deportati.
Mentre in Germania Hitler e il suo stato maggiore stavano pianificando lo sterminio degli ebrei e il pericolo delle deportazioni incalzava, suor Maria Teresa Gonzáles de Castejón nel chiuso della sua cella annotava nel suo diario: «Avevamo nel nostro giardino una catacomba, che esisteva già, come rifugio. Questa catacomba era molto grande. Poco dopo qualche famiglia conoscente o amici della nostra comunità, dormirono nel rifugio della casa madre.
Noi sapevamo che il Santo Padre aveva aperto le porte del Vaticano ai rifugiati, soprattutto agli ebrei, per salvarli dalla persecuzione razzista. Molte case di religiosi e religiose avevano seguito il suo esempio, e le Reverende Madri Datti, Dupont e Perry decisero di nascondere anche dei rifugiati».
Di conseguenza, il 6 ottobre del 1943, apprendiamo dal Giornale della Casa «Villa Lante» un particolare interessante: «La Rev.da Madre [Manuela Vicente] è stata chiamata in Vaticano; si è recata con Sorella Platania alla Segreteria di Stato dove S. E. Mons. Montini l’ha pregata, in nome del Santo Padre, di alloggiare tre famiglie minacciate, come molte altre, di essere prese dai tedeschi. Ha pure offerto un’automobile, affinché la Madre possa andar subito alla Casa Madre per chiedere i dovuti permessi; [è] andata con la Rev.da Madre Pirelli e non ha riportato pieno consenso. Già una 15ª di persone alloggiano a Betania e la Rev.da Madre studia il modo di trovare altri buoni posti per meglio entrare nei desideri del Santo Padre che si degna darle tanta fiducia».
Dai documenti degli archivi dell’Office of Strategic Service declassificati alcuni anni or sono in seguito al Nazi War Crimes Disclosure Act, risulta che le forze alleate, proprio dal 6 ottobre 1943, mediante il cablogramma numero 19 contrassegnato dalla dicitura «Personale. Per il Führer e il ministro del Reich», erano al corrente del dispaccio segreto con il quale Hitler aveva pianificato il destino degli ottomila ebrei romani, ordinandone la deportazione nei campi di sterminio tedeschi per essere definitivamente «liquidati».
Inoltre l’11 ottobre successivo da un messaggio radio criptato, inviato dal capo dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich Ernst Kaltenbrunner a Herbert Kappler, si apprendeva che «è esattamente l’immediato e completo sradicamento degli ebrei in Italia che è nello speciale interesse della presente situazione politica interna e della sicurezza generale in Italia. Più a lungo si dilazionerà, maggiormente gli Ebrei, che stanno senza dubbio facendo assegnamento su misure di evacuazione hanno un’opportunità di andare [a nascondersi] nelle case di italiani favorevoli agli ebrei [e] di scomparire completamente».
Era questo soltanto il preludio all’ignominioso rastrellamento del ghetto ebraico di Roma che sarebbe scattato pochi giorni dopo, il 16 ottobre 1943. Dunque, come si evince in modo chiaro da questi documenti, gli alleati erano perfettamente al corrente, e con ben dieci giorni d’anticipo, del piano scellerato che i tedeschi stavano per mettere in atto.
Occorreva dunque far presto e, pertanto, non sembra del tutto azzardato ipotizzare che, attraverso qualche canale diplomatico, anche l’entourage vaticano fosse venuto a conoscenza di questa notizia. D’altronde non si spiega diversamente la sollecitudine con cui Pio XII, tramite monsignor Giovanni Battista Montini, aveva esortato la superiora generale della Società del Sacro Cuore Manuela Vicente ad allestire adeguati rifugi presso le proprie case religiose allo scopo di dare asilo agli ebrei perseguitati.
A quel punto, dunque, la Santa Sede si vide chiamata in causa e ritenne giunto il momento di spalancare le porte di tutte le case e gli istituti religiosi romani per offrire asilo e protezione ai tanti ebrei che correvano seri pericoli di vita, cercando di non dare troppo nell’occhio e continuare nel più stretto riserbo quest’opera di assistenza e ospitalità clandestina nelle varie strutture ecclesiastiche dell’Urbe e del resto d’Italia.
È tuttavia interessante rilevare la scansione cronologica di questi avvenimenti che coincidono sorprendentemente con la circolare vaticana del 25 ottobre 1943, rivelata dall’attuale segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, in cui si «forniva l’orientamento di ospitare gli ebrei perseguitati dai nazisti in tutti gli istituti religiosi, di aprire gli istituti e anche le catacombe».
Ciò, d’altronde, si evince anche dalla documentazione archivistica delle suore della Società del Sacro Cuore di Gesù, laddove si legge, in una nota autografa che reca la data dell’11 ottobre 1943: «Giornata di gran lavoro da una parte e di gran terrore dall’altra!… Mentre sù tutte aiutano a sgomberare la sala della scuola dalle panche, tavolini, lavagne e ridurla a camera da letto, giù in portineria è un succedersi di giovani spaventati che chiedono per pietà di essere messi al sicuro dai tedeschi che vogliono deportarli in Germania.
La Rev.da Madre e la Madre Economa scendono per calmarli, consigliarli, rassicurarli: è stata una mattinata di ansia da una parte e di tanta materna bontà e comprensione dall’altra. C’è un fuggi fuggi: gli uomini temono di essere presi dai tedeschi e corrono a nascondersi, o almeno a mettere al sicuro la moglie e figliuoli; chiedono per loro alloggio nei conventi e la nostra Rev.da Madre Saladini procura di contentare chi può; tutte vi si prestano, la sala della scuola ben arredata accoglie intere famiglie con bambinaie nella sala da pranzo e nella precedente tre tavole riuniscono grandi e piccole dai due ai sessant’anni e più; vi sono moglie e madri di diplomatici, di militari, ex alunne».
Per scongiurare il pericolo delle improvvise perquisizioni nazifasciste all’interno degli ambienti ecclesiastici, la Santa Sede fece pervenire a tutti i superiori dei conventi romani un avviso firmato dal governatore militare di Roma Rainer Stahel, scritto in italiano e tedesco, da far affiggere sulle porte d’ingresso di tutti gli istituti religiosi, in cui si dichiarava esplicitamente che l’edificio era sotto le dirette dipendenze della Città del Vaticano e, pertanto, venivano interdette perquisizioni o requisizioni d’ogni genere.
A distanza di pochi giorni, per la precisione il 25 ottobre 1943, come abbiamo avuto modo di accennare, la Segreteria di Stato provvide a inviare una circolare con la quale impartiva precise disposizioni esortando, tra l’altro, i superiori dei vari ordini a ritirare dalla porta dei propri edifici di culto questo avviso, prestando tuttavia attenzione a conservarli accanto all’ingresso nell’eventualità che potessero ritornare utili in caso di un’improvvisa perquisizione.
In effetti questo documento sembra fosse pronto almeno fin dal 12 ottobre 1943, come si evince da quanto annotato meticolosamente dalle religiose del Sacro Cuore di Gesù nel diario della loro Casa di Villa Lante, che scrivono quanto segue: «Nell’impossibilità di comunicare con le varie vicarie, potrebbe essere bene far sapere alle Reverende Madri che possono ricorrere all’Ordinario della diocesi, per i permessi (…) Speciali poteri temporanei sono stati concessi dalla Santa Sede. In realtà molte Madri Vicarie lo sapevano già. Il Vaticano ha fatto dire, che un documento era pronto, attestante che la nostra Casa Madre era riconosciuta come bene della Santa Sede. Nessuna domanda è stata fatta, ma questa protezione sarà ricevuta con riconoscenza. Questo attestato potrebbe essere affisso all’interno del portone».
A suffragare ulteriormente la tesi dell’azione «silenziosa» svolta da Papa Pacelli per trarre in salvo il maggior numero possibile di ebrei, scrive più in là nel suo diario madre Maria Teresa Gonzáles de Castejón: «Le prime a chiedere ospitalità furono due giovani donne spagnole sposate con degli italiani. Si nascondevano perché non volevano essere catturati dai tedeschi e arruolati nel loro esercito. Una aveva tre bambini di tre anni e due mesi.
Ho detto che tra i nostri rifugiati vi era una giovane donna con sua figlia. Suo marito, e credo suo figlio, erano rifugiati al Collegio Orientale dei Gesuiti in Piazza Santa Maria Maggiore. Una mattina il padre Gordello s.j. che conosceva bene questa famiglia Sonnino e che aveva convertito al cristianesimo, venne da noi e mi disse: Occorre annunciare una triste notizia alla signora Sonnino. Suo marito è morto in seguito a una crisi cardiaca questa notte. All’inizio della notte i soldati tedeschi sono venuti a fare una perquisizione da noi (C’erano abbastanza rifugiati, ebrei ed altri). Come l’Orientale [l’omonimo Collegio dei gesuiti] comunica dall’interno con il Collegio Russo (il Russicum è anche dei Gesuiti) noi li abbiamo fatti passare di là ».
Tuttavia l’improvvisa irruzione dei soldati nazisti si rivelò fatale per il signor Sonnino che stava ancora smaltendo i postumi di un’altra grave crisi cardiaca che aveva accusato qualche mese prima. «Noi ci siamo messe a pregare presso di lui — scrive, con dovizia di particolari, suor Maria Teresa Gonzáles de Castejón — quando [improvvisamente] i soldati tedeschi sono entrati [e] abbiamo detto loro: Attenzione! Qui c’è un defunto». E conclude tirando un sospiro di sollievo: «Hanno guardato senza far niente». A quel punto, però, le suore furono prese di soprassalto perché incominciavano a nutrire serio timore per le sorti della signora Sonnino e della sua figlioletta, al punto che subito corse voce tra di loro che «bisogna[va] avvertirle per metterle al sicuro da qualsiasi pericolo che incombeva su di loro».
Nel frattempo, alla fine di ottobre, le pensionanti continuavano ad aumentare raggiungendo le trentotto unità. La «Reverenda Madre e la Madre Economa — si legge nel Giornale della Casa — fanno veri miracoli per trovar posto e viveri, nonostante la stretta carestia che Roma soffre ancora di più delle altre città della nostra povera Italia!»
Le richieste di ospitalità, considerati i tempi, naturalmente non accennavano a diminuire neanche presso le altre case delle religiose del Sacro Cuore di Gesù, quella di «Trinità dei Monti» e di «Villa Lante» che, un bel giorno all’improvviso videro sopraggiungere presso di loro due signore spagnole — di cui una anziana di origini sivigliane — con i loro bambini, coniugate con degli aviatori italiani i quali, per evidenti ragioni di sicurezza, avevano trovato usbergo da qualche altra parte per non farsi acciuffare dai nazisti.
Fu così che il 19 ottobre 1943 le «due giovani rifugiate qui con i loro 4 figli — scrive la cronista della Casa Villa Lante — si sono ambientate e sono riconoscenti. Il marito di una di queste che è molto esposto, ci prega che se è dichiarato lo stato di emergenza ci lascia la possibilità di metterlo in un angolo del giardino. Sembra difficile negare questo atto di carità quando è una vita che è salvata.
Un’altra rifugiata (la signora Mormino, sorella della nostra religiosa) sarà accettata qui come rifugiata con la figlia di 10 anni e il figlio di 7 anni. (Suo marito, avvocato, militante del partito cattolico è anche costretto a fuggire dalle ricerche). Il documento inviato dalla Santa Sede, è stato assegnato a tutte le Case Madri degli ordini religiosi di diritto pontificio. Questo sarà una salvaguardia, sebbene l’arrivo a Roma della Gestapo non sia rassicurante. Le perquisizioni sembrano intensificarsi. Villa Lante ha ricevuto questo documento».
Fin dal mese di ottobre del 1943, come abbiamo accennato in precedenza, si provvide a impartire precise istruzioni a tutti i conventi e le chiese d’Italia, esortandoli a spalancare le porte delle loro case religiose a tutti i perseguitati politici, in special modo agli ebrei, per offrire loro un adeguato rifugio.
Naturalmente anche le religiose della Società del Sacro Cuore di Gesù non restarono indifferenti ai desiderata del Pontefice, come si evince chiaramente da una nota autografa trascritta nel Giornale della Casa di Villa Lante, del 9 novembre 1943: «Un avviso del Vicariato, firmato dal Vice Gerente, ha avvertito parroci, conventi e case che è improbabile che siano immuni da perquisizioni e requisizioni, fatte da parte dei tedeschi e dei fascisti. Villa Lante ha ricevuto questa comunicazione dalla Parrocchia e molti dei rifugiati sono partiti, non sentendosi più al sicuro. Madre Boggiano, anche al corrente di queste cose, e avendo dei rapporti con il Vaticano e con tutte le autorità civili, è stata consultata. Credo che il documento inviato dal Vaticano continui ad avere il suo valore, anche se è stato firmato da parte tedesca da Stahel, che ha lasciato Roma ed è stato richiamato in Germania».
Anche in virtù della ricerca di cui rendiamo conto in questo articolo, ci sembra di poter affermare dunque, senza tema di smentita, che questa opera condotta in sordina dal Vaticano senza grossi proclami, di aiutare cioè «segretamente» tanta povera gente, offrendo loro dei nascondigli sicuri per metterli al riparo da occhi indiscreti, in ultima analisi, si sia rivelata una scelta saggia e lungimirante.
In segno di riconoscenza per l’ospitalità ricevuta, il 2 giugno del 1944 — proprio in occasione dell’onomastico del Papa — tutte le rifugiate presso la Casa delle religiose della Società del Sacro Cuore di Gesù al Gianicolo, decisero di fargli pervenire tramite la superiora madre Saladini, un telegramma augurale, esprimendosi in questi termini: «Profondamente commosse sublime parola Vostra Santità, illuminata sovrumana luce, vibrante eccelsa carità e generosa fortezza, balsamo per tutti i cuori martoriati, sprona e incitamento a più fervida, confidente vita cristiana, noi, Religiose ed ospiti rifugiate a Villa Lante, ringraziando con animo riconoscente, innalziamo ardentissime preghiere Sacro Cuore perché versi perenni carismi di conforti grazie su Santità Vostra da cui imploriamo umilmente paterna benedizione per noi e tutti i nostri cari».
Giovanni Preziosi
(©L’Osservatore Romano 11 maggio 2011)