Da «capro espiatorio» a lavoratore pentito della sua infedeltà verso il datore di lavoro e di padre preoccupato per i suoi figli. Nell’entourage di Paolo Gabriele si registra un drastico cambiamento dell’immagine filtrata all’esterno attraverso i mass media. Tra «tensioni e speranze», la nuova linea di comunicazione adottata è quella «pentimento-redenzione» del corvo. Dopo la confessione, non si sostiene più l’estraneità di Gabriele ai fatti contestati, né lo si ritrae come pedina innocente di un gioco più grande di lui.
Da mero strumento, quindi, a colpevole desideroso di rimediare al male compiuto. L’immagine che viene offerta dell’ex maggiordomo papale alla sbarra è espressione di una strategia difensiva che punta all’assunzione di responsabilità e alla grazia del Pontefice.
La palese violazione del giuramento di riservatezza viene derubricata ad «azione emergenziale» in situazione di stress psicologico grave. Una fotografia a tinte pastello, dunque, rispetto alle grida iniziali sul complotto ai danni dell’anello debole della catena «In questo momento Paolo è una persona prostrata psicologicamente perché proprio nell’avvicinarsi del processo si rende sempre più conto di come le sue azioni abbiano coinvolto l’intera famiglia che ne sta pagando le conseguenze in termini umani», raccontano all’agenzia Ansa persone vicine alla famiglia di Paolo Gabriele, descrivendo lo stato d’animo dell’ex aiutante di camera in attesa del processo che avrà inizio sabato: «In questo momento la preoccupazione principale di Paolo sono i suoi figli soprattutto per i disagi nella loro vita creati dalle ricadute mediatiche». In casa, aggiungono, i coniugi Gabriele hanno parlato con i figli tentando di spiegare loro quanto sta accadendo, ma certo metterli al riparo da un evento di grande risonanza come il processo «non è possibile».
Da quando è stata comunicata la data della prima udienza, spiegano, in famiglia la tensione è andata crescendo. È vero che Paolo ha agito conoscendo anche i rischi cui andava incontro ma trovarsi il processo davanti è un’altra cosa, ora si rende veramente conto di quello che ha fatto. Dall’altra parte però, la famiglia non perde la speranza e auspica che il processo non si trascini troppo a lungo e che dopo la sentenza possa intervenire un provvedimento di clemenza del Papa.
Sabato l’ex maggiordomo del Papa comparirà di fronte alla corte vaticana presieduta dal presidente del tribunale, Giuseppe Dalla Torre, per rispondere dell’accusa di furto aggravato. Quello che accomuna un po’ tutti gli amici di Paolo e le persone a lui vicine è la speranza che con il processo possano finalmente venir fuori le vere motivazioni che lo hanno spinto ad agire in questo modo. Paolo Gabriele, per fare quello che ha fatto, è la convinzione comune, deve aver visto qualche cosa di molto grave accadere intorno al Pontefice. Altrimenti, «per come noi tutti lo conosciamo», non si possono spiegare queste sue azioni.
Fonte: Vatican Insider