«Una trentina di infermiere si strinse intorno a Di Pietro. Spingevano per poterlo toccare, abbracciare». «Era pomeriggio e gli spiegarono che lo stavano aspettando dalla mattina, quando avevano deciso di non tornare a casa dopo il turno di notte».
L’aneddoto risale all’inizio degli anni ’90 ed è una delle testimonianze, raccolte da Filippo Facci in Di Pietro-La storia vera, dell’effetto che ebbe sul popolo italiano l’esaltazione mistica riservata dai media al giudice, simbolo di Mani Pulite.
In occasione di quella che sembra essere la fine politica di Tonino Di Pietro, con la sua emarginazione da parte dei media e degli elettori, tempi.it ricorda la sua figura, attraverso le “sperticate” lodi che, vent’anni fa, gli dedicarono stampa italiana e straniera.
MEGLIO DI PELÈ. La popolazione impazziva per il pm contadino. I paparazzi lo inseguivano ovunque. I tifosi lo osannavano a San Siro: «Di Pietro, sei meglio di Pelé». E in tutta la città di Milano, apparvero scritte sui muri e manifesti che inneggiavano a lui: «Grazie Di Pietro», «Di Pietro sindaco».
Al sud i giornali non erano da meno: «Arriva Antonio Di Pietro da Milano, il giudice delle tangenti, il Falcone del Nord», spiegando come «il giudice che la gente ama ha veramente un gran cuore». Da un sondaggio promosso dalle Acli, nel 1994, venne fuori che seicento ragazzi lo avevano eletto come «il più adatto a rappresentare i valori della solidarietà sociale in uno spot».
Di Pietro era da considerarsi un «eroe borghese», secondo l’allora caporedattore di Repubblica Antonio Polito. «L’Europeo regalava gli adesivi circolari “Forza Di Pietro”», ricorda Facci, «mentre Famiglia Cristiana scriveva che “l’impegno di Di Pietro sarebbe piaciuto a Leonardo Sciascia”. Tv Sorrisi e canzoni titolava in copertina ”Di Pietro facci sognare“. Il Venerdì di Repubblica includeva il magistrato in questo sondaggio: “Tra questi personaggi chi proporrebbe come santo?”».
TONINO L’ONNIPOTENTE. «La grande pulizia: lo scandalo che sconvolge l’ Italia», titolava il Newsweek del 29 febbraio 1993. In copertina, la faccia di Antonio Di Pietro. Il settimanale americano descrisse così l’inchiesta di Mani Pulite: «Per decenni la corruzione si è infiltrata in ogni fessura della vita pubblica italiana. Adesso un gruppo di eroici magistrati sta trasformando il sistema».
A contribuire al mito dell’eroe che aveva battuto la corruzione, del «pm contadino» con formidabili doti mnemoniche, del semplice «uomo onesto» «con un fascino discreto» fu innanzitutto la stampa italiana. Scrive Facci: «Tra i cronisti, Di Pietro era oggettivamente adorato. L’uomo che anni prima avevano chiamato “Di Dietro”, nel loro gergo divenne “Zanzone”, “Dio”, “Diozanza”, “Padrepio”, “l’Onnipotente” e da un certo punto in poi “la Madonna”».
MACHO CHE STRAPIACE. In particolare, ricorda Facci, erano le giornaliste a tessere le lodi più sperticate del pm. Per Chiara Beria di Argentine dell’Espresso, Di Pietro non era soltanto «un implacabile nemico delle mazzette» ma «un giudice mastino che interrompe i lunghi, estenuanti interrogatori offrendo Ferrero Rocher».
Per Maria Laura Rodotà, che allora scriveva su Panorama, Di Pietro era «il nuovo eroe italiano, il nuovo modello, a grande richiesta», «Di Pietro, eroe tranquillo, un role model, un modello di comportamento italiano».
Laura Maragnani su Donna ne esaltava le doti virili: «Di Pietro fa sognare anche le donne. Piace. Strapiace. C’è chi lo definisce un sex symbol, un eroe per gli anni Novanta … Dicono di lui che sia duro, testardo, di metodi spicci. E che sia onesto, onestissimo. Basta questo a farlo adorare alle donne? O è merito anche del suo anti-look, del calzino corto che si ribella alla tirannia dell’apparire?… Signori, è l’Italia degli anni Novanta … dei tanti Di Pietro che sono fedeli alle mogli, si occupano del giardino e dei gerani, pranzano con i suoceri, preparano il biberon al figlio di cinque mesi … una nuova specie di uomo… Italiane, la caccia è aperta».
DI PIETRO FOR PRESIDENT. All’inizio del 1994, la fama di “Padrepio”, il giudice macho dai metodi spicci che offre cioccolatini ai sospettati, raggiunge l’apogeo. Mentre i giornali si occupano del suo futuro, viene chiamato a parlare al Forum di Davos, a pranzare con Carlo De Benedetti e George Soros, a premiazioni in suo onore.
Nella stampa, c’era chi gli prospettava un destino da politico, chi tentava di esorcizzarlo favoleggiando il pm di Mani Pulite a capo «di una super agenzia antievasione e anticorruzione», «delle indagini della Commissione stragi sulla lotta al terrorismo», «di una task force mondiale anti-corruzione creata dall’Onu».
Qualche giornalista di Repubblica sosteneva: «si occuperà dei delitti della Banda della Uno bianca». Pochi mesi prima della vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, il destino di “Zanzone”, sembrava essere stato efficacemente circoscritto nell’ambito della giustizia e della forza di polizia del paese. Per il Dc Antonio Segni, infatti non ci poteva essere «nessuna persona superpartes come Di Pietro».
Al massimo la politica avrebbe potuto assegnargli la Presidenza della Repubblica.
VENT’ANNI DOPO. Come sappiamo, Di Pietro non fu eletto a Capo dello Stato e decise di scendere in politica a fianco del centrosinistra. Il mito del pm si logorò in breve tempo. Nel 2002, scrive Facci, per Repubblica «l’eroe» era diventato «l’uomo che Borrelli ha stretto sabato in un fraterno abbraccio». «Un unto del procuratore», niente di più. Oggi, con la sua uscita di scena, del giudice macho che faceva impazzire le donne italiane, non rimane quasi nulla.
Soltanto Grillo ha il coraggio di inserirlo, come vent’anni fa, nella lista per le nomination al Quirinale, insieme a Renzo Piano e Dario Fo. La fine politica di Di Pietro è stata decretata dai vertici del Pd nel 2012, a seguito della sua opposizione intransigente al governo Monti e alla difesa di Ingroia nella questione intercettazioni al Quirinale. La stilettata fatale arriva da Milena Gabanelli, su Rai 3.
Il centrosinistra, sondaggi alla mano, pensava di poter fare a meno dell’Idv (alle nazionali) e colse l’occasione per stracciare l’alleanza di Vasto. Di Pietro si candida con Rivoluzione Civile insieme a Ingroia e perde. Forse, però, fa anche perdere il centrosinistra.
Dopo vent’anni di alleanze nelle amministrazioni locali e nazionali, Bersani lo aveva liquidato semplicemente come «un problema…». Ironia della sorte, il segretario del Pd, che non voleva andare a «compromessi con posizioni demagogiche e pericolose», al posto di Antonio Di Pietro si è trovato Beppe Grillo, un altro fustigatore della morale pubblica, un altro mito extra-politico alimentato dai media (per quanto “nuovi”).
Articolo tratto da: Tempi.it