Che l’arte abbia la capacità di far parlare di sé non è cosa rara, anzi. Nel corso dei secoli notiamo un susseguirsi di artisti che suscitarono scalpore portando innovazioni all’interno delle loro opere: Caravaggio, per esempio, fu criticato per eccesso di concretezza e mancanza di decoro nel rappresentare devoti con i piedi sporchi, al cospetto della Vergine o raffigurando ne “la morte della Vergine” Maria col ventre gonfio; Monet, non da meno, sentì definire la sua opera “Impression soleil levant” un qualcosa che faceva impressione; insomma, il genio artistico vive della critica, solitamente negativa, degli intellettuali e committenti ad egli contemporanei che, involontariamente, danno così avvio alla fama dell’artista e alla diffusione della sua arte.
Ma questa fama e notorietà è giustificata in tutti i casi?
Ebbene, eccomi di nuovo qua a parlare con voi di arte contemporanea, presentandovi un artista che ama far parlare di sé. Maurizio Cattelan, padovano della classe ’60, risulta essere uno degli artisti più importanti e pagati (l’opera “la nona ora” fu battuta da Christie’s nel 2001 per la cifra record di 886.000 dollari) non solo del panorama italiano, ma di quello mondiale.
Provocatore nato, il nostro artistarealizza sculture dai più disparati soggetti, da quelli profani a quelli sacri, sempre che di sacralità si possa parlare: cavalli appesi al soffitto, bambini impiccati, una donna crocifissa di schiena, una mano con dita logorate, il cui unico superstite è quello medio, tre braccia tese a saluto romano che sbucano dal muro e che portano il titolo “Ave Maria”, un bambino che suona il tamburo, Hitler inginocchiato in preghiera e con gli occhi lucidi, papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite.
Non risulta difficile, a seguito di questo breve elenco, capire come la critica e il giudizio del pubblico sia discordante; da chi lo profetizza come “il Leonardo dell’arte contemporanea” (vd. Francesco Bonami, Lo potevo fare anch’io) a chi compie atti violenti nei confronti delle sue sculture, spinto dall’indignazione di quanto vede.
Ma arriviamo all’
ultima trovata del nostro artista: la sistemazione della statua
Him, ritraente Hitler, inginocchiato in preghiera, nel ghetto di Varsavia, luogo storico che vide la presenza di centinaia di ebrei in attesa di essere deportati nei campi di concentramento o uccisi durante il regime nazista.
Il pretesto per la collocazione della statua, realizzata nel 2001, è stata data dal Centro per l’arte contemporanea della città, sede della retrospettiva “Amen” dedicata allo scultore padovano, nella cui mostra Cattelan si interroga e fa interrogare i visitatori sui concetti di vita, morte, bene e male. Le reazioni non tardano ad arrivare: il Centro Simon Wiesenthal ritiene tale scelta «una provocazione insensata che insulta la memoria delle vittime ebree del nazismo»; positiva invece la reazione del rabbino capo della Polonia Michael Schudrich, che crede nel possibile valore educativo della statua.
E noi, da che parte stiamo? Difficile dirlo. Se si tenta di leggere cosa Cattelan vuole dire, o giustificare, nelle sue opere, potremmo anche convincerci che poi così male non sono; che porre Hitler in preghiera in un luogo di massacro sottolinei come l’essere umano, anche se cattivo, ha un’anima e che il bene, come il male, è un valore intrinseco nell’essere umano, con il quale dovremo, prima o poi, fare i conti.
Ma c’è un aspetto, tipico dell’arte, che non dobbiamo sottovalutare: la sua mediaticità e universalità, strumenti attraverso cui l’artista esprime dei contenuti; ma questi contenuti non possono subordinarsi alla volontà dell’arte contemporanea di provocare.
Eh già… «la provocazione sta nell’arte contemporanea», queste le parole di Maurizio Cadeo, Assessore al decoro urbano della città di Milano, in un’intervista avvenuta due anni fa in occasione della mostra di Cattelan a Palazzo Reale, dopo la scelta di omettere la statua di Hitler che già campeggiava sui manifesti dell’evento, ma che non ha vietato la presenza della statua di Giovanni Paolo II colpito da un meteorite, che l’artista identifica come la sconfitta del proprio padre, che all’età di diciasette anni Cattelan aveva tentato di strangolare.
Forse dietro alle opere del padovano c’è qualcosa di più, ma la domanda sorge spontanea: perché identificare il padre con il papa? Una figura che è stata emblema di bontà e di vero amore? Attendiamo una risposta. Intanto risultano interessanti anche le parole utilizzate da Vittorio Sgarbi in un’intervista, sempre di qualche anno fa, nel quale definisce il nostro artista «un’invenzione pubblicitaria riuscita».
Pubblicità, mediaticità, provocazione… l’arte è diventata solo questo? E, soprattutto, la mediaticità è vincolata all’opera e al suo contenuto, o a chi la realizza? La provocazione fa prevalere il nome dell’artista al contenuto e alla tecnica dell’opera; l’arte e, in questo caso, la simbologia cristiana è strumentalizzata per la fama dell’autore. Cattelan può essere un grande artista ma, affinché noi possiamo apprezzarlo, dovremmo chiedergli di scherzare coi fanti e di lasciar stare i santi.