“Credo che l’insegnamento della religione nelle scuole così come è concepito oggi non abbia più molto senso”. A dirlo è il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo che basa il suo ragionamento su un dato preciso: “Nelle nostre classi il numero degli studenti stranieri e, spesso, non di religione cattolica tocca il 30%”. A questo punto, aggiunge il ministro, “sarebbe meglio adattare l’ora di religione trasformandola in un corso di storia delle religioni o di etica”.
Secondo l’ultimo dossier sull’immigrazione della Caritas, tra i 700mila alunni figli di genitori stranieri, solo il 20% degli studenti stranieri è di religione cattolica. Il risultato è che, per la prima volta dal 1993, data della prima rilevazione, il numero degli alunni che non partecipano all’ora di religione ha superato il 10%. [tgcom.24]
Parafrasiamo l’affermazione del Ministro Profumo: “Credo che un ministro incompetente sugli argomenti che tratta non abbia più molto senso”. Chissà perché è così difficile che chi parla, prima cerchi di informarsi e di comprendere l’argomento che tratta?
Si è mai chiesto il nostro Ministro quali sono le ragioni che giustificano la presenza dell’IRC nella scuola dello Stato? Ha mai letto, il nostro, gli articoli del Concordato che lo istituiscono?
O ha mai provato a riflettere su quello che il Card. Martini (che tutti vogliono tirare dalla loro parte) ha detto in uno straordinario convegno organizzato da CulturaCattolica.it e da altre realtà che si occupano di questi argomenti? E quello che ha detto nella stessa occasione Paolo Mieli, ebreo di origine e laico di formazione? Per rinfrescargli la memoria cito alcuni passaggi.
Diceva il Card. Martini: «Perché e come entra l’insegnamento della religione “nel quadro delle finalità della scuola”? Entra per svolgere un servizio alla scuola e alle sue finalità. Abbiamo visto che una finalità della scuola è quella di porre il problema del rapporto dei dati scientifici e storici con il significato che essi hanno per la coscienza e la libertà. Orbene la coscienza e la libertà chiamano in causa i beni ultimi, universali, fondamentali dell’esistenza. Quello che, poi, la coscienza e la libertà decideranno circa questi beni, è un compito delle singole persone. Ma è compito della scuola porre correttamente il problema.
L’insegnamento della religione, che riguarda appunto le questioni decisive, i fini ultimi della vita, aiuta la scuola a svolgere questo compito. L’aiuta entrando in dialogo con le altre materie di insegnamento, ma conservando una propria specificità, che non può essere confusa con gli scopi delle altre materie. […] Presentando il cattolicesimo nella scuola, la Chiesa aiuta gli alunni italiani a capire la cultura in cui vivono, perché, come dice anche il Concordato “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano” (art. 9, par. 2)».
Così Mieli: «Io non sono cattolico, la mia famiglia è di origine ebraica e quando ero a scuola, trentacinque anni fa, ero esonerato dall’ora di religione. […] Da quel momento [l’incontro con un insegnante di religione cattolica capace], per i successivi cinque anni (i due anni del ginnasio e i tre anni del liceo), io rimasi, per scelta, a tutte le lezioni di religione e questo dialogo, a volte puntuto a volte condotto in spirito di franchezza e onestà, non un dialogo compiacente, è stato un momento fondamentale della mia vita. Io ero, appunto, un non credente che invitato a partecipare a quell’ora la sceglieva volontariamente, a differenza di tutte le altre ore di scuola. Le altre ore di scuola le facevo perché ero tenuto a farle, perché la famiglia mi obbligava a farle, perché dovevo crescere, dovevo diplomarmi, dovevo prendere la maturità e poi laurearmi. Quell’ora, invece, me la sceglievo, per cui nella storia della mia giovinezza l’ora di religione è l’ora della scelta, l’ora della libertà, l’ora del confronto, l’ora della crescita.»
Ministro Profumo, credo che queste semplici ragioni possano essere correzione alle sue asserzioni. È – l’ora di religione CATTOLICA – un servizio che vale per gli alunni che vogliano essere consapevoli della propria storia ed identità. E, nel caso di stranieri, anche se (o proprio se) di altra religione, l’occasione per integrarsi nell’ambiente e nella cultura in cui sono chiamati a vivere, anche da protagonisti!
Don Gabriele Mangiarotti
Fonte: Cultura Cattolica