A marzo è stato firmato l’Indiana Religious Freedom Restoration Act, una legge sulla libertà religiosa la cui conseguenza più immediata è l’apertura della prima Church of Cannabis (Chiesa della Cannabis). Si tratta di una chiesa evangelica che prevede l’assunzione di marijuana come “sacramento”; ai fedeli, secondo la norma appena approvata, sarà consentito farne uso nel corso delle cerimonie religiose. La Chiesa non potrà comprare o vendere la sostanza, ma la produrrà per il proprio consumo.
La legge si conforma a quella federale approvata 20 anni fa con la quasi unanimità del Congresso e che è stata recepita da molti Stati con il supporto bilaterale di gruppi religiosi e associazioni civili.
In Indiana però ha incontrato l’opposizione di associazioni LGBT che temono il verificarsi di effetti disciminatori: secondo il nuovo ordinamento, lo Stato tutela il diritto di coscienza di ogni cittadino ad agire secondo il proprio orientamento religioso; i ministri di culto che, ad esempio, non vogliano celebrare matrimoni tra coppie dello stesso sesso possono rifiutarsi di farlo, anche se le unioni omosessuali sono negli Usa un diritto costituzionale. Il governo locale ha quindi emesso un emendamento in cui garantisce che nessun diritto verrà violato.
Uno degli effetti della legge è la possibilità da parte di gruppi e associazioni di ottenere l’approvazione come ente religioso a parità di diritti, dignità e status fiscale di altre Chiese riconosciute. Questo avviene se si posseggono dei requisiti, caratteristiche riconoscibili come un’organizzazione ecclesiastica, una dottrina, la credenza in uno o più esseri soprannaturali e in un destino ultraterreno.
Il giudizio avviene in base a criteri dettati dall’esperienza e dalla consuetudine: quello che assomiglia a una religione, è una religione. Il rischio è nell’arbitrarietà di chi giudica, se cerca delle analogie che non sempre trovano un riscontro. Nel caso della Church of Cannabis l’esito è stato favorevole e a decorrere dal primo luglio appena trascorso è ufficialmente una nuova religione.
Gli imperativi sono “vivi, ama, ridi, impara, crea, coltiva, insegna”. Il fondatore è Bill Levin, proprietario di un’agenzia di marketing; in un’intervista al Washington Post si è definito “non religioso, ma orientato a una spiritualità da condividere tra individui ispirati dall’amore e dalla comprensione”.
Lo strumento attraverso cui raggiungere questo stato compassionevole è la cannabis sativa, attualmente illegale in Indiana sia per scopi ricreativi che terapeutici. Non è la prima volta che l’America affronta il problema dell’assunzione rituale di sostanze stupefacenti: a fine ‘800 la Chiesa del Peyote (Native American Church) riuniva molte etnie nordamericane che soffrivano una condizione di emarginazione e disagio. Il cactus allucinogeno veniva consumato in “gemme” e simboleggiava la sacralità della memoria ancestrale, l’unità intertribale e, finalmente, il riscatto.
Levin invita ad adottare come “testo sacro” The Emperor Wears No Clothes (il re è nudo) di Jack Herer, un libro degli anni ’80 caposaldo dell’attivismo americano per la depenalizzazione della cannabis. Le linee guida di comportamento, riassunte in “dodici comandamenti”, esortano all’adozione di uno stile di vita rispettoso e al consumo consapevole della “pianta che guarisce anche da malattie e depressione”.
Fonte: il Timone