Amara ironia: ma sì, dormite pure; tanto, eccoli qui quelli che vi sveglieranno. I poveri Apostoli avevano bevuto le quattro coppe di vino rituali e forse qualche altra, e non erano neanche abituati a fare le ore piccole. Gesù, per farli scappare, dicendo solo il suo nome (Jahwè: «Io sono»), sbatte a terra la coorte venuta ad arrestarlo. Non è vero che Pietro poi lo rinnega, non è un vile: è il solo che ha tirato fuori la spada e l’ha data in testa al capobranco Malco.
Segue Gesù per vedere se può essergli d’aiuto in qualche modo. Ma una schiava pettegola e intrigante, per arruffianarsi il padrone, fa di tutto per incastrarlo. Lui nega di essere discepolo del Nazareno perché finirebbe preso, inutilmente, anche lui.
Lo sguardo di Gesù gli ricorda la profezia e scappa fuori a piangere, ma per la disperazione e l’impotenza: non ci capisce più niente; il suo Maestro fa miracoli e profezie, però si è fatto arrestare senza opporre resistenza. Pietro non sa più che fare, si perde nella notte.
Il processo-farsa, in totale dispregio della rigorose procedure previste dalla Legge, serve solo a spedire Gesù da Pilato con questa accusa: non vogliamo che costui venga a regnare su di noi perché non abbiamo altro re che Cesare, e se non lo crocifiggi platealmente andremo a dirlo a Tiberio, il quale, sapendoti protetto dal traditore Seiano, non aspetta altro per destituirti.
Ora, chi conosce la storia sa che quello era, per Israele, il tempo dell’arrivo del Messia, secondo la profezia delle «settanta settimane» di Daniele. E vari Messia spuntavano qua e là, prima e dopo Gesù, regolarmente repressi dai Romani.
Uno, addirittura, (Bar Kokhba) sarà ufficialmente riconosciuto dal Sinedrio e sarà il disastro finale. Invece, Gesù è l’unico per il quale i sinedriti imbastiscono un complotto teso non solo a ucciderlo, ma a farlo giustiziare dai Romani.
Perché? Uno potrebbe dire: ma come, con tutti i miracoli che faceva? Ma è proprio il più strepitoso, la resurrezione di Lazzaro, che determina il Sinedrio a chiudere la questione una buona volta. E subito. Gesù è stato acclamato nella Domenica delle Palme mentre a Gerusalemme c’erano almeno un milione di ebrei venuti da ogni dove per la Pasqua.
E i Romani, a ogni Pasqua, facevano affluire truppe in città perché il fervore religioso della festa principale portava sovente a insurrezioni. Quel sedicente Messia aveva un seguito strabocchevole e già altre volte non era stato possibile arrestarlo.
Questa è la volta buona, perché Giuda si è messo a disposizione. Gesù lo sa e ricorre a una complicata manovra per non far sapere a Giuda l’indirizzo dell’Ultima Cena prima che sia stata istituita l’Eucarestia («vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d’acqua, seguitelo», dice a due discepoli, malgrado sia Giuda quello incaricato della cassa comune).
I Romani si erano riservati la pena di morte, sì, ma solo ufficialmente: in pratica, i sinedriti potevano far lapidare chi volevano (come l’episodio evangelico dell’adultera trascinata davanti a Gesù dimostra).
Solo che il Nazareno doveva essere giustiziato da loro, e in modo ben visibile. Perché? Perché con i suoi miracoli si era procurato, sì, un grandissimo seguito, ma non era l’Atteso che li avrebbe liberati dall’occupazione dei pagani («date a Cesare quel che è di Cesare») e procurato a Israele il dominio mondiale, sennò i sinedriti sarebbero stati primi a sostenerlo.
Per giunta, faceva apposta a non rispettare il sabato e le miriadi di prescrizioni rituali, non mancando di additare la classe dirigente al disprezzo del popolo. Un falso Messia ma di vastissima popolarità: i Romani avrebbero distrutto la nazione e il Tempio.
Era lo stesso dilemma di Giuda, che perciò aveva cercato di forzare gli eventi costringendo Gesù a chiarire la sua posizione davanti alla massima autorità religiosa e politica, il Sinedrio.
Solo quando si rese conto di essere stato usato come esca per un piano già scritto capì che l’avevano fregato. E, anziché scusarsi con Gesù, si suicidò. I sinedriti, furbi fabbricanti di pentole senza coperchi, vollero Cesare come re e Cesare distrusse davvero la loro nazione e il Tempio.
Gesù, invece, rese davvero Gerusalemme il centro del mondo, davvero trionfò sui Romani e davvero divenne il Re di tutte le nazioni.
Fonte: La NBQ