Una riforma del celibato sacerdotale non è al momento all’esame di papa Francesco. «Non che io sappia». Tra l’altro, «come si fa a riformare il celibato?». Lo ha dichiarato il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, a margine del convegno «Il celibato sacerdotale, un cammino di libertà», promosso dalla Pontificia Università Gregoriana. Parolin ha osservato che il problema delle vocazioni sacerdotali va messo più che altro in relazione con il calo demografico in atto a livello mondiale.
«Del resto – ha aggiunto – mi pare che anche tra gli anglicani si registri lo stesso problema della scarsità di vocazione».
A proposito dei viri probati (uomini sposati, di fede, riconosciuti nella comunità, che possono celebrare i sacramenti, ndr) Parolin nel suo intervento al Convegno ha detto che il dibattito è legittimo pur senza intaccare il senso del celibato: «Il mio punto di vista è soprattutto quello che ho chiamato emergenza sacramentale, il fatto cioè che oggi ci sono tante comunità che rimangono prive dei sacramenti, perché non c’è la presenza di un sacerdote, e questo è caratterizzante della Chiesa cattolica, la sacramentalità della celebrazione dell’eucaristia.
Quindi si può discutere su come superare quest’emergenza. Credo che soluzioni immediate non ce ne sono. Si dovrà tenere conto di tutta la dottrina e di tutta la tradizione della Chiesa e certamente anche delle nuove realtà che emergono, però credo che la discussione è su questo punto: cioè su come la Chiesa possa rispondere oggi alle necessità di quelle comunità di fedeli che si trovano prive di sacerdoti».
«Il celibato è una vocazione che nella Chiesa Latina è considerata specialmente conveniente per coloro che sono chiamati al ministero sacerdotale. È l’occasione per il sacerdote di vivere un’ affettività ricca, per il suo cammino personale e per l’esercizio della sua missione; non è assenza di relazioni profonde, ma spazio per esse.
È un “cammino di libertà”», ha detto il Segretario di Stato vaticano nella sua relazione a conclusione del convegno «Il celibato sacerdotale, durante la quale ha invitato a non cedere a «soluzioni affrettate» su questo tema, dettate «dalle urgenze» pur riconoscendo la «legittimità» del dibattito. «La Chiesa Cattolica – ha sottolineato – non ha mai imposto alle Chiese orientali la scelta celibataria.
D’altra parte ha anche permesso eccezioni nel corso della storia, come nel caso di pastori luterani, calvinisti o anglicani sposati». «Più recentemente – ha aggiunto – nel 2009, il Motu proprio Anglicanorum Coetibus di papa Benedetto XVI ha autorizzato la costituzione di ordinariati nei territori della Chiesa latina, dove esercitano ex-ministri anglicani, ordinati sacerdoti cattolici. In seguito poi alla massiccia emigrazione di cattolici dal Medio Oriente, nel giugno 2014 papa Francesco, con il decreto Pontificia Praecepta de Clero Uxorato Orientali, ha consentito ai sacerdoti sposati orientali di operare nelle comunità cristiane della diaspora, dunque al di fuori dei loro territori tradizionali, abrogando precedenti divieti».
Nella situazione attuale «viene spesso evidenziata, specialmente in alcune aree geografiche, una sorta di “emergenza sacramentale”, causata dalla mancanza di sacerdoti. Ciò ha suscitato da più parti la domanda circa l’eventualità di ordinare i cosiddetti viri probati».
«La spiritualità celibataria del presbitero – ha affermato – è una proposta “in positivo”, costruttiva, che mira a far sì che il popolo di Dio abbia sempre pastori radicalmente liberi dal rischio della corruzione e dell’imborghesimento».
«Rimane pur sempre vero – ha concluso – che le esigenze dell’evangelizzazione, unitamente alla storia e alla multiforme tradizione della Chiesa, lasciano aperto lo scenario a dibattiti legittimi, se motivati dall’annuncio del Vangelo e condotti in modo costruttivo, pur sempre salvaguardando la bellezza e l’altezza della scelta celibataria, il celibato è infatti un dono che richiede di essere accolto e curato con gioiosa perseveranza, perché possa portare appieno i suoi frutti».
Nel corso del Convegno il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione dei Vescovi, nella sua relazione teologica di giovedì aveva espresso la sua tesi: «Il sacerdote, ministro della Parola, rappresenta Cristo-Sposo in quanto egli è la Parola definitiva di Dio all’umanità; questa Parola culmina nell’Eucaristia, l’atto supremo di offerta sacrificale del Grande Padre della Nuova Alleanza.
Quest’atto dello Sposo divino è assolutamente trinitario poiché coinvolge le tre persone divine nella loro unità d’Amore che trascende il tempo, ma si dona in partecipazione sacramentale attraverso la mediazione del sacerdote ordinato a questo fine.
Essendo unito sacramentalmente al Cristo-Sposo, il sacerdote comunica a lui non soltanto come membro della comunità ecclesiale, ma in primo luogo come ministro di Cristo stesso che si dona corporalmente e verginalmente alla sua sposa la Chiesa».
Ciononostante, riconosce Ouellet, «la Chiesa non ha mai legato sacerdozio e celibato sul piano dogmatico, ma ha sempre mantenuto il proprio giudizio di valore pastorale su questo legame che esprime nel ministro la scelta esclusiva, perenne e totale dell’unico e sommo amore di Cristo», una scelta «innanzitutto sponsale», come hanno precisato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Per Ouellet, «si potrebbe certamente concepire, anche per la Chiesa latina, che un’altra forma di vita, il matrimonio, sia associata al ministero pastorale», ma «il discernimento finale su questa possibilità spetta all’autorità suprema della Chiesa che ha preferito sino a ora, per serie ragioni, mantenere la fondatezza della legge del celibato ecclesiastico obbligatorio».
Fonte: Vatican Insider