Papa Francesco: quelle false accuse per gli anni bui

Nella biografia “alternativa” di Jorge Mario Bergoglio i conti non tornano. I “generali” del presidente Videla, stando ad alcune “veline” piazzate negli archivi del regime e ora emerse, consideravano il futuro pontefice come un loro «collaborazionista». E già qui s’annusa il veleno della macchinazione.

Per una ragione semplice: alla “fonte Bergoglio” non viene attribuito nessun soprannome, nessun codice segreto, nessuna identità protetta. Mentre per gli altri informatori e doppiogiochisti, negli schedari venivano usati nomi di comodo, così da occultarli e proteggerli. Perché mai si doveva rischiare di far saltare la copertura di una gola profonda così preziosa?

 
La montatura ha parzialmente dato i suoi frutti visto che ancora oggi c’è chi continua a domandarsi, come acriticamente stanno facendo alcuni mass media internazionali, se dare credito a quelle voci alimentate, come vedremo, da alcune foto grossolanamente ritoccate.

 
Dal New York Times fino al foglio argentino Pagina 12, sono in diversi a riportare accuse di «connivenza» con i militari. Secondo alcune testimonianze raccolte dal giornalista Horacio Verbitsky, diventato “oracolo” delle accuse al Papa, Bergoglio aveva «tolto la protezione – riassume la Bbc – a due sacerdoti che operavano nelle baraccopoli» di Buenos Aires, allontanandoli dai gesuiti ed esponendoli alla rappresaglia dei militari.

«Nel 2010 fu chiamato a testimoniare sul caso, dichiarando di aver chiesto ai vertici del regime il rilascio» dei due parroci poi effettivamente liberati, sottolinea la Bbc, secondo la quale il futuro papa è stato sentito dagli inquirenti anche «nel caso di Elena de La Cuadra, figlia di una delle cofondatrici delle Abuelas de Plaza de Mayo, sparita quando era incinta».

E Bergoglio, aggiunge la rete britannica, è stato infine citato anche in una causa penale aperta in Francia per il sequestro e l’omicidio del sacerdote Gabriel Longueville, nel 1976. La notizia che manca, però, è che la giustizia ha sancito che sul suo operato non c’erano macchie, mentre altri sacerdoti sono stati condannati.
 

In seguito al colpo di Stato militare del 24 marzo 1976 contro Isabelita Peron, il generale Jorge Videla divenne presidente, guidando una giunta militare che includeva il brigadiere generale Orlando Agosti e l’ammiraglio Eduardo Massera.

In quel contesto, l’operazione tesa a far finire il nome del padre gesuita tra quelli degli “affidabili” di regime, fu un tentativo, prevedibile e persino patetico, di macchiare la reputazione di Bergoglio, così da indebolirlo e renderlo “inaffidabile” agli occhi dei dissidenti e degli indomiti gesuiti di cui era il provinciale.

Una modalità affatto nuova. In Polonia, come nell’Ungheria e nella Romania comuniste, accadeva lo stesso con i religiosi e gli intellettuali che non si piegavano ai “rossi”. Il tarlo del dubbio instillato nell’opinione pubblica – gli 007 di ogni dove lo sanno – può essere più efficace di intimidazioni e interrogatori condotti senza complimenti.

 

«Papa Francesco vicino alla dittatura militare argentina? Niente affatto», sostiene con decisione Adolfo Maria Perez Esquivel, difensore dei diritti umani e nel 1980 Premio Nobel per la Pace, conferitogli proprio per le denunce contro gli abusi dei militari negli anni Settanta.

Perez Esquivel non esita ad affermare che nella Chiesa cattolica «vi siano stati ecclesiatici complici della dittatura», ma assicura che «Bergoglio non era uno di loro». L’ex arcivescovo di Buenos Aires, osserva, «è sotto tiro perché dicono che non ha fatto quello che doveva per far liberare due sacerdoti (in realtà poi scarcerati, ndr) quando era superiore dell’ordine dei gesuiti. Ma io so personalmente – rivela il Nobel argentino – che molti vescovi hanno chiesto alla giunta militare la liberazione di prigionieri e sacerdoti, e non fu concessa».
 
Tra le tante, c’è la testimonianza inedita di un oppositore, a quel tempo particolarmente inviso al regime. Una storia che sembra scritta da John Le Carré, il maestro di spy story. «Alle volte Bergoglio ci faceva diventare pazzi. Sembrava si trovasse in due posti nello stesso momento», raccontò una volta un vecchio agente della polizia segreta.

Padre Jorge Mario sapeva di essere finito nella lista nera delle personalità da spiare notte e giorno. E con lui anche un giovane che finirà a lavorare in Vaticano e che adesso, non volendo riflettori su di sé, implora di restare anonimo.

Bergoglio, che a quel tempo non era ancora vescovo, s’era accorto che il ragazzo gli somigliava parecchio. Fu proprio il futuro pontefice a fargli indossare gli abiti da sacerdote, tanto che i servizi segreti si mettevano a pedinare quest’ultimo anziché il padre gesuita.

Episodio confermato dallo stesso Bergoglio, quando venne interrogato dalla commissione d’inchiesta sugli anni del regime. «Ho fatto scappare dal Paese, passando da Foz do Iguacu (città nel Sud del Brasile al confine con l’Argentina, ndr), un giovane che mi somigliava molto, dandogli la mia carta d’identità e vestendolo da prete: solo così potevo salvargli la vita».
 

Anche Graciela Fernandez Meijide, ex membro della Commissione Nazionale sui desaparecidos, creata dopo il ritorno alla democrazia, ieri è stata categorica: «Non mi risulta che Bergoglio abbia collaborato con la dittatura, lo conosco personalmente. Ho sofferto per la scomparsa di un figlio. Perez Esquivel è stato quasi ammazzato dai militari. Ma non si può dire che tutti i religiosi erano complici della dittatura, è un’assurdità».

Tra gli ex dissidenti, vi sono però voci discordanti. Estela Carlotto, a capo delle nonne di Plaza de Mayo, dice di non avere un’opinione precisa sul comportamento «di Papa Francesco al tempo della dittatura». Ma subito aggiunge: «L’importante per me è sapere che il Papa vuole promuovere la pace, la fratellanza e l’amore per il prossimo».
 

Ad alimentare la leggenda nera del “gesuita traditore” ci sono poi alcune immagini a suo tempo confezionate ad arte. Per esempio, come ha segnalato ieri “ilpost.it”, la didascalia originale della foto nella quale Videla riceve la comunione da un sacerdote, ripreso di spalle, non fa alcun riferimento a Bergoglio.

Era il 1990 e il gesuita aveva poco più di 50 anni, mentre nell’immagine si vede un celebrante piuttosto anziano porgere la particola al generale. «L’ex presidente argentino Jorge Rafael Videla – si legge nella didascalia originale dell’immagine custodita dall’agenzia Corbis – riceve la comunione in una chiesa di rito cattolico romano a Buenos Aires, in questa foto del 20 dicembre 1990».

Eppure, opportunamente “tagliata” in modo da rendere quasi impossibile l’identificazione del prete, quello scatto è stato fatto passare per la prova regina della «contiguità» di Bergoglio anche dopo la caduta del regime, nel 1983.

 
Di tutto questo su certa stampa internazionale non c’è stranamente traccia. Neanche un interrogativo sul perché si siano agitate accuse così pesanti sulla base di elementi così fragili, inconsistenti e manipolati.

Nello Scavo

 

 

Fonte: Avvenire