Il Conclave del 2013 è stato davvero un disastro. Ogni giorno che passa saltano fuori nuove magagne, una più grave dell’altra. E i profili di invalidità si fanno sempre più consistenti. Lo sanno bene gli addetti ai lavori che però oggi stanno copertissimi a causa di una certa atmosfera repressiva che domina oltretevere in questi mesi. Atmosfera in totale contraddizione pratica con la continua ripetizione della parola «misericordia» da parte del papa argentino.
Ne parla molto, ovviamente, nella bolla «Misericordiae vultus» di indizione del Giubileo firmata ieri. Vi sono passi molto belli che ricordano la compassione di Gesù verso tutti e il viscerale amore materno di Dio verso ciascuno.
Ma si nota anche la solita omologazione all’agenda politically correct. C’è infatti una certa enfasi sui «peccati sociali». Pare che mafiosi, corrotti e razzisti siano i soli che si possono giudicare e condannare.
L’ovvio dei popoli che permette a tutti noi di sentirci buoni. È tutto molto comodo.
Domenico Cacopardo ha notato che nel discorso di Pasqua, all’indomani del massacro di 147 studenti cristiani in Kenya, Bergoglio ha tuonato contro i «trafficanti di armi», categoria che però è «un nemico oscuro e sfuggente» grazie al quale il papa non nomina «il nemico evidente e visibile» che compie quelle stragi.
Più in generale Bergoglio prende di petto i reati da codice penale, ma quasi per nulla i normali peccati da confessionale che vengono alquanto derubricati: anzi, il papa se la prende con chi evoca la giustizia della legge morale (sfuocata nel magistero del papa argentino è anche la nozione di «peccato originale»).
Contenuti ancor più «sinistresi» (contro il profitto, le disuguaglianze, la finanza) saranno esposti nell’ormai prossima enciclica sociale, già anticipata nel discorso che Bergoglio fece ai centri sociali (fra cui il Leoncavallo).
CLIMA IDEOLOGICO
Il papa argentino ci riporta così al clima ideologico che in Italia vivevamo negli anni Settanta, il sinistrismo della Chiesa latinoamericana, imbevuta delle diverse teologie della liberazione.
Non è un caso se quella Chiesa da decenni sta andando a picco sia per le defezioni massicce dei fedeli, sia per la voragine delle vocazioni.
Al contrario dove l’insegnamento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI è stato recepito e si è formato un episcopato – per così dire – saldamente cattolico, i frutti sono straordinari.
Negli Stati Uniti, sono dati di questi giorni, nel 2015 ci saranno circa 600 ordinazioni sacerdotali. L’anno precedente erano state 477: più 25 per cento in un solo anno.
«È uno dei più robusti segnali di ripresa vocazionale dopo una crisi pluridecennale iniziata poco dopo la chiusura del Concilio» scrive la rivista Il Timone, la quale aggiunge che si tratta di vocazioni fiorite negli anni di Benedetto XVI che hanno la tipica spiritualità di Wojtyla e Ratzinger («il 70 per cento, prima di entrare in Seminario era solito pregare il Rosario o partecipare all’adorazione eucaristica»).
La Chiesa statunitense, che porta il segno di Wojtyla e Ratzinger, è molto impegnata nello slancio missionario e nelle battaglie di frontiera sui «principi non negoziabili».
È quella che i media laici definirebbero una «Chiesa conservatrice», come la Chiesa africana, vivacissima e in espansione, i cui vescovi, nello scorso Sinodo, sono stati decisivi per bloccare la «rivoluzione» di Kasper.
PONTIFICATO DI ROTTURA
È chiaro che Bergoglio è su un’altra strada. Con lui si profila un pontificato di rottura. Anche nei gesti e nelle consuetudini.
A dire il vero già il Conclave che lo ha eletto andava in quella direzione. E prima se ne discuterà pubblicamente, meglio sarà per tutti. Anche per papa Bergoglio che avrebbe tutto l’interesse a far chiarezza.
Ho ritenuto di ravvisare tre violazioni delle norme, nel mio libro «Non è Francesco», che già di per sé possono rientrare in quelle che comportano la nullità dell’elezione. Ora se ne aggiungono altre due, così evidenti che mi sono state segnalate da alcuni lettori.
CONCLAVE E SEDE VACANTE
La prima. Fra l’annuncio della rinuncia, l’11 febbraio 2013, e l’inizio della sede vacante, il 28 febbraio, Benedetto XVI firmò il Motu proprio «Normas nonnullas» per integrare e mutare piccole parti della costituzione che regola l’elezione del papa, la Universi Dominici gregis.
L’articolo 37 veniva così formulato da Ratzinger: «Ordino che, dal momento in cui la Sede Apostolica sia legittimamente vacante, si attendano per quindici giorni interi gli assenti prima di iniziare il Conclave; lascio peraltro al Collegio dei Cardinali la facoltà di anticipare l’inizio del Conclave se consta della presenza di tutti i Cardinali elettori». Stando a questo articolo dunque il Conclave doveva iniziare dopo il 15 marzo perché la sede vacante era iniziata il 28 febbraio.
Il Collegio cardinalizio poteva anticipare il Conclave solo con la «presenza di tutti i cardinali elettori» (norma dovuta a incidenti gravi del passato).
I CARDINALI ELETTORI
In effetti il Conclave del 2013 è stato anticipato, per decisione dell’ottava Congregazione generale del Collegio dei cardinali tenutasi nel pomeriggio dell’8 marzo 2013.
«Il direttore della Sala Stampa aveva ricordato che da ieri i 115 elettori sono tutti presenti» si legge nell’articolo di Avvenire del 9 marzo, firmato Mimmo Muolo.
Ma se i cardinali presenti erano 115 e gli elettori erano 117, ne mancavano due: Julius Riyadi Darmaatmadja e, per motivi diversi, Keith Michael Patrick O’Brien che, pur avendo inviato le loro motivazioni, recepite dai cardinali, tuttavia restavano a tutti gli effetti «cardinali elettori», tanto che in ogni momento potevano venire a Roma ed entrare in Conclave anche dopo il suo inizio (art. 39).
Lo stesso Avvenire rilevava la loro assenza. Con tale assenza però il Collegio cardinalizio non era al completo come richiesto dal Motu proprio e non poteva decidere l’anticipo del Conclave che ha eletto il cardinal Bergoglio il 13 marzo, un giorno nel quale il Conclave non doveva nemmeno essere iniziato.
Come è stato possibile allora assumere quella decisione?
Ma c’è un’altra violazione. È noto che nella quarta votazione del 13 marzo si è trovata una scheda che ne conteneva un’altra, in eccesso, rimasta attaccata.
Applicando l’articolo 68 dell’Universi Dominici gregis, si è deciso di annullare quella votazione e farne subito un’altra.
Nel mio libro ho ravvisato in questa decisione due violazioni delle norme, perché si doveva applicare l’articolo 69 (non annullando quella votazione, ma solo quel voto) e non si poteva votare un’altra volta in quanto le norme pontificie impongono di non fare più di quattro votazioni al giorno (art. 63).
Tuttavia se proprio si voleva applicare l’articolo 68, lo si doveva applicare integralmente.
SCHEDE DA BRUCIARE
Esso infatti impone, una volta annullato il voto, di bruciare quelle schede prima di procedere a una nuova votazione («omnes comburendae sunt, et iterum, id est altera vice, ad suffragia ferenda procedatur»).
C’è un motivo importante per cui Giovanni Paolo II, nell’Universi Dominici gregis, prescrive questo: per eliminare dalla Cappella Sistina qualsiasi scheda votata, cosicché la successiva votazione non possa essere nemmeno ipoteticamente inquinata da schede già votate o da sospetti. Quindi si dovevano bruciare subito.
Ma il pomeriggio del 13 marzo non vi fu quella seconda fumata nera per la quarta votazione annullata. Vi fu solo, alle 19.06, la fumata bianca della quinta votazione. Perché? È necessario appurare se si sono verificate (anche) queste due violazioni, perché – se così fosse – è assai probabile che possano rappresentare causa di nullità dell’elezione.
L’articolo 76 dell’Universi Dominici gregis infatti afferma: «Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritto nella presente Costituzione o non fossero state osservate le condizioni qui stabilite, l’elezione è per ciò stesso nulla e invalida».
In questo campo la misericordia non c’entra. Almeno qui la legge deve regnare sovrana.
Antonio Socci
articolo pubblicato su LiberoQuotidiano.it