Papa Francesco ha chiamato ieri sera la famiglia di James Foley, il giornalista americano barbaramente ucciso in Iraq dai jihadisti dello Stato Islamico. I genitori di Foley si sono detti “commossi e grati” per questo gesto di vicinanza del Pontefice. E’ stata la fede a sostenere James Foley nella sua lunga prigionia prima dell’uccisione, è la fede che sostiene ora i suoi genitori. Una fede che ha impressionato anche Papa Francesco, come ha sottolineato padre Ciro Benedettini.
Il vicedirettore della Sala Stampa Vaticana racconta la toccante telefonata che il Papa ha fatto alla famiglia del reporter di guerra ucciso in Iraq:
“La telefonata è avvenuta ieri sera poco dopo le 20.00, dopo la cena del Santo Padre. Ovviamente è avvenuta in lingua inglese con un intermezzo anche in lingua spagnola.
Il Santo Padre ha voluto dimostrare la sua vicinanza a questa famiglia provata dal dolore. In particolare, ha parlato all’inizio con la madre, che è cattolica, e che ha dimostrato una grande fede, che ha in qualche modo impressionato anche il Papa.
Ha parlato poi con il padre, e poi con un membro della famiglia di lingua spagnola e quindi il Santo Padre ha potuto parlare in spagnolo. Ovviamente, l’auspicio di tutti, del Santo Padre e della famiglia è che questi tragici fatti non si ripetano”.
Gratitudine, commozione: questi i sentimenti espressi della famiglia Foley, dopo la telefonata, mentre i media americani hanno dato ampio spazio al gesto di partecipazione spirituale di Papa Francesco:
“Having the Pope himself called the family to express …”.
“Il fatto che il Papa stesso abbia chiamato la famiglia per esprimere le sue condoglianze e la sua vicinanza – ha detto il parroco della chiesa frequentata dai Foley – credo sia per loro una consolazione immensa”. Che il rapporto con Dio, sia la forza che sorregge i genitori di James Foley in questo terribile momento, lo si era potuto toccare con mano ieri quando John e Diane avevano parlato ai giornalisti radunatisi davanti casa. Non una parola d’odio. Nessuna richiesta di vendetta, solo preghiere:
“We know Jimmy is free, he is finally free …”.
“Sappiamo – ha detto il padre tra le lacrime – che Jimmy è libero, finalmente libero. E sappiamo che è nelle mani di Dio. Sappiamo come Dio opera, sappiamo che ora è in Cielo”. Dal canto suo, la madre ha messo l’accento sulla forza che la preghiera dava a suo figlio:
“So many people were praying for Jim, and I really think that’s what gave Jim …
“Sono state veramente tante le persone che hanno pregato per Jim – ha affermato – e io credo che sia stato questo a dargli un coraggio incredibile. Jim confidava nella preghiera, era forte, coraggioso, amorevole fino alla fine”. Jim, ha detto ancora Diane Foley, “non avrebbe mai voluto che in noi prevalesse l’odio o l’amarezza, mentre avrebbe voluto che continuassimo a pregare perché gli altri ostaggi americani siano risparmiati”.
In questi giorni in tutti gli Stati Uniti si susseguono veglie e momenti di preghiera per James Foley che avrebbe compiuto 41 anni il prossimo 18 ottobre. Profonda commozione si vive alla “Marquette University” dei Gesuiti nel Wisconsin. Ateneo che Jim – come era chiamato da parenti e amici – aveva frequentato prima di diventare giornalista.
Con la sua vecchia università era sempre rimasto in contatto, informando dei suoi spostamenti in zone di guerra e delle missioni umanitarie a cui prendeva parte.
Soprattutto, chiedeva di essere accompagnato dalla preghiera. Proprio il Rosario – come confidò in una lettera – gli aveva dato conforto e coraggio nei mesi di prigionia prima in Libia, poi in Siria dove era stato rapito nel 2012.
L’università dei Gesuiti ricorderà questo suo alunno speciale con una cerimonia religiosa il prossimo 26 agosto, rammentando – come James aveva confidato una volta alla madre – che sentiva su di sé le preghiere di chi gli voleva bene.
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana