Oggi è sant’Andrea e Andrea è un nome maschile, ma una recente sentenza della Cassazione non è d’accordo. Tant’è. E anche se in Italia «il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso» (dpr n. 396/2000) ormai che importa più? I supremi giudici con l’ermellino, con sentenza n. 20385/2012, hanno stabilito la «natura sessualmente neutra» di Andrea, nome che pertanto da una una decina di giorni a questa parte può essere conferito dai genitori dello Stivale sia ai maschietti sia alle femminucce.
Peccato che il nome Andrea non sia neutro, come spiega a tempi.it Giovanni Gobber, allievo del grande studioso di linguistica, argomentazione e comunicazione verbale Eddo Rigotti e docente di linguistica generale alla Facoltà di Lingue presso l’Università Cattolica di Milano. Il nome non è neutro «per l’evidente radice semantica che lo caratterizza»: Andrea proviene dal greco Ἀνδρέας (Andreas), derivato da ἀνήρ (anēr), ἀνδρός (andrós), che indica l’uomo nella sua virilità e che è il corrispettivo del latino vir, viri (uomo), che è diverso da homo, hominis, uomo, inteso nel senso più generico di appartenente al genere umano, equivalente al greco ἄνθρωπος (ánthropos), ἀνθρώπου (anthrópou).
ALL’ESTERO. Andrea non è un nome neutro nemmeno all’estero, ossia non lo è in quei «numerosi contesti nazionali stranieri europei (Slovacchia, Inghilterra, Spagna, Germania, Olanda, Danimarca ed Ungheria) ed extraeuropei (in particolare gli Stati Uniti)» presi erroneamente a modello di civiltà più avanzata dai supremi giudici della Corte di Cassazione in virtù dei «significativi cambiamenti» – o presunti tali – che sarebbero in atto «nel sentire sociale» di quelle genti, secondo i giudici. Cambiamenti che risiederebbero nel fatto che il nome Andrea, in quei paesi, non sarebbe già più percepito come maschile, bensì come neutro.
E questo solo perché in alcuni di quei paesi Andrea è da tempo – molto tempo, anche se la Cassazione lo scopre solo ora – utilizzato come nome femminile. Ma proprio in quei paesi Andrea non ha la «valenza biunivoca» di cui i supremi giudici vogliono convincerci e sempre in quei paesi Andrea non può «essere indifferentemente utilizzato per soggetti femminili e maschili» come erroneamente si legge nelle motivazioni della sentenza.
È vero che Andrea all’estero è anche un nome femminile. Ma non è vero che ha valenza neutrale o biunivoca. In tutti quei paesi, dice Gobber, «Andrea è semplicemente la forma femminile del corrispettivo nome maschile: in Germania, per esempio, Andrea è il femminile di Andreas, in Francia di André, in Spagna di Andrés e nel mondo anglosassone di Andrew. L’opposizione maschile-femminile, pertanto, in tutti questi paesi si mantiene». Altro che neutro! Parlare di neutro è semplicemente una dimostrazione di «ignoranza» della materia da parte dei giudici, l’onomastica e la linguistica in questo caso.
E LA POVERA ANDREINA? «Sollevare l’argomento dell’analogia con le lingue straniere è quantomeno un modo di procedere ingenuo», spiega Gobber sfogliando le motivazioni della Cassazione. «Se, per esempio, si volesse fare un parallelo serio con il corrispettivo tedesco del nome Andrea, non si potrebbe prescindere in alcun modo dall’impiego di un criterio strutturale, di sistema».
E così facendo, sarebbe evidente fin da subito la presenza delle due forme, quella maschile e quella femminile, Andreas e Andrea per il tedesco, André e Andrea per il francese, Andrés e Andrea per lo spagnolo e Andrew e Andrea per l’inglese. E subito cadrebbe l’impianto costruito dalla Cassazione per “neutralizzare” nel genere Andrea. Ma non è tutto.
Perché, se la Cassazione fosse coerente fino in fondo, dovrebbe anche giungere ad ammettere che, per esempio, «essendo diffusi in Germania nomi femminili come Gabriele o Simone, anch’essi dovrebbero poter essere conferiti tranquillamente a bimbe neonate, anche se in Italia esistono già quelli femminili anch’essi di Gabriela e Simona». Senza considerare poi «la discriminazione che subirà il nome Andreina che, se vogliamo, è già una versione al femminile dell’italiano maschile Andrea».
Insomma, l’unica cosa che, secondo Gobber, emerge con chiarezza dalle motivazioni dei giudici è che «prevale il tentativo di analizzare, per interpretarlo, il dato della tradizione, un dato che, invece, va sempre preso così come è: come qualcosa di dato, appunto, non manipolabile a nostro piacimento». E in questo, conclude Gobber, «il procedimento seguito dai giudici si è dimostrato ancora una volta debitore al metodo giuridico francese», quello che, per intenderci, ha fatto della rottura con la tradizione in tutte le sue forme l’ideale perseguito giorno per giorno, con tenace costanza. Fino a riuscirci, spesso, in molti aspetti della vita di una società.
Fonte: Tempi.it