Europa ed Occidente sono ormai un arcipelago di anime morte. Una definizione forte, che pongo come titolo del presente lavoro, segnato da una speranza ,ex Oriente Lux, ovvero che dall’Europa dell’Est, ed in particolare dalla Russia, si accenda una speranza di resurrezione morale per l’Ovest, per questa Europa malata di vecchiaia, di arroganza , carica di vizi e di indifferenza, obesa ma debilitata, svuotata, ebbra di falsi diritti, ripiegata sul presente, indifferente al futuro, ignara del passato, sazia e disperata, come scrisse anni fa il cardinale Biffi.
Speranza per domani, forse per dopodomani, ma il destino è poter seminare, come nel folgorante frammento di Anna Achmatova, la grande poetessa russa ritratta da Modigliani , definita dal famigerato censore sovietico della cultura Zdanov “strega e santa”.
Arcipelago Gulag è il grande romanzo/saggio di AlexsandrSolzhenitsyn sull’universo concentrazionario dei prigionieri in Unione Sovietica, Le Anime morte è il titolo di uno straordinario affresco letterario della Russia ottocentesca, scritto da NIkolayGogol, russo ucraino, in cui si narrano le vicende di un uomo, Cicikov, che viaggia per l’immensa Russia per comprare … anime, ovvero i diritti sui servi della gleba deceduti dopo l’ultimo censimento , e che risultano quindi ancora legalmente in vita .
Ciò per ottenere certi diritti e terreni demaniali per i quali occorre dimostrare la proprietà di “anime”, appunto, di servi contadini.
Forse è un accostamento ardito, ma l’Europa, l’Occidente di oggi, sembra a chi scrive un arcipelago – tante isole diverse – abitato da anime morte, anzi da umani senz’anima, smarrita nel deserto di una civilizzazione allo stremo. Verrà una luce dall’Est , terra del sorgere del Sole?
Ci sarà davvero una “terza Roma” dell’Est, come immaginato da Ivan il Grande dopo il crollo della romanità bizantina?
Il 26 giugno dell’anno di Dio 2015, giorno consacrato a san Virgilio vescovo, tre notizie si sono divise l’onore- o l’orrore – delle cronache: l’assalto islamista alla spiaggia tunisina con quaranta morti assassinati; la decapitazione – con la testa mozzata infilzata ad una cancellata – di un piccolo imprenditore francese da parte di un suo dipendente maghrebino; la sentenza della Corte Suprema americana , che ha proclamato a maggioranza ( 5 a 4) il matrimonio omosessuale come “diritto fondamentale”.
La gioiosa reazione di Barack Hussein Obama, l’impiegato meticcio di finanza e multinazionali si è manifestata su Twitter con la parola d’ordine, subito adottata da frotte di sciocchi anche in Italia “ l’amore vince”.
I nuovi principi fondanti del nulla corrono sull’”hashtag”, il cancelletto di Twitter: dopo la strage parigina di Charlie Hebdo la frase virale – si dice così – fu “siamo tutti Charlie”. Più o meno è davvero così, nel senso che siamo quasi tutti morti, cadaveri che camminano verso il nichilismo gaio intuito da Augusto del Noce.
La morte del povero francese è stata la prima decapitazione islamica in Europa dal 1683, l’anno dell’assedio di Vienna, liberata dall’intervento dall’Est dei polacchi del re JanSobieski; la mattanza fortemente simbolica di europei seminudi in vacanza (eterna è ormai la vacanza degli europei , dalla storia, dalla responsabilità, dalla realtà ) ha un significato che trascende la ripugnante violenza degli assassini; la legittimazione, anzi l’imposizione come diritto fondamentale del matrimonio omosessuale è il più alto riconoscimento giuridico in Occidente del principio di irrealtà .
Tutto in un giorno. L’amore vince, ed anche l’odio, in verità non scherza…
Questi i nudi fatti, il giudizio è sin troppo semplice: la priorità della nostra agonizzante civilizzazione sono sempre nuovi “diritti” individuali, e mentre noi discutiamo del sesso dei diavoli ( per quello degli angeli bastò la Bisanzio conquistata dal Sultano Maometto II nel 1453) siamo espugnati, vinti, trafitti. Sulle spiagge ad oziare tra chiappe e drink serviti dagli ultimi ascari, o a festeggiare in baccanali ridicoli l’amore invertito che trionfa.
Madamina il catalogo è questo, spiegava Leporello delle conquiste di Don Giovanni, “ed in Spagna son già milletré”. Ma c’è ancora, come nella narrazione letteraria e musicale, un convitato di pietra che richiami, trattenga, riveli una coscienza più alta , che ripeta ciò che sapeva un grande psicologo come Abraham Maslow, l’ inventore della “piramide dei bisogni “ e cioè che la natura dell’uomo ha dei piani superiori ai quali innalzarsi?
Nel deserto ci si attacca anche ai miraggi, e il desiderio di un oasi, di una pozza d’acqua a cui dissetarsi assume il carattere non della speranza, ma della bramosia. Ed allora , abbandonata come irreale la possibilità di riscatto dello spirito europeo , non resta che guardare ad oriente.
Ex Oriente lux ?
Ex Oriente lux, dissero nel medioevo. La fiamma estinta dell’Occidente, terra del tramonto per definizione , forse può ardere ancora , attizzata dal vento dell’Est. Un Oriente che , da europei e da bianchi – torniamo ad essere orgogliosi della nostra razza ! – non vogliamo identificare con l’oriente estremo,con quella straordinaria civiltà che nel libro del Tao fa dire a LaoTzu “ Il mondo, vaso spirituale, non può essere modellato. Chi lo modella, lo distrugge “.
Ex Oriente lux, luce può essere la Russia , l’ortodossia, i suoi grandi artisti, le donne e gli uomini che nel dramma del Novecento hanno pagato il prezzo drammatico di resistere, in piedi, alla macchina di morte e di disprezzo dell’uomo che è stato il comunismo.
Oggi, nel trionfo del fratello più astuto del comunismo, il liberalismo, una rinascita può essere solo morale e spirituale. Non mi riferisco necessariamente all’ambito religioso o confessionale, ma ad una visione del mondo che riassuma i principi del bene, del vero, del bello, dell’apertura all’eterno, al trascendente .
Ubifides, ibilibertas, era il motto di Sant’Ambrogio, dove c’è fede, c’è libertà: non necessariamente fede religiosa, ma capacità di credere in qualcuno o qualcosa, che orienti, dia senso, direzione. Nel nulla, per un attimo si crede a tutto, come capì Chesterton, e si vive prigionieri della manipolazione, dell’istinto, del vuoto.
Qui prevale da due secoli, anticipata da taluni aspetti del Rinascimento , dalla rivoluzione scientifica e dalla Riforma protestante, il materialismo assoluto della “ragione”, economica, tecnica, tecnologica, strumentale, la superstizione del progresso – oggi è sempre meglio di ieri- il mito della tecnica che ha ridotto l’”homo faber” ad animale da batteria.
Un povero uomo carico di superbia che, nell’ultimo tratto della modernità, si è trasformato in corpo vile di esperimenti per oltrepassare la natura, in cammino verso il transumanesimo della nuova genetica, la pretesa di possedere le chiavi della vita e della morte, della riproduzione (zootecnica) della specie, della ri-creazione di un nuovo esemplare di uomo.
Su tutto, l’idea che ogni capriccio, o perversione, sia un diritto da soddisfare attraverso la tecnica ed un impianto giuridico che scambia il giusto, il “diritto” con il desiderio o il capriccio.
Terra del tramonto, l’Europa occidentale, in cui Dio dorme sonni agitati persino nelle religioni costituite, sostituito da “Io”.
In Oriente, nell’est di questo nostro piccolo continente, i popoli slavi non hanno conosciuto le convulsioni della Rivoluzione industriale e, soprattutto, sono rimasti estranei all’illuminismo ed alla sua pretesa di costituire la realtà sulla Dea Ragione, espellendo ogni altra forma, o ipotesi di conoscenza.
Viene in mente la celebre incisione di Francisco Goya del 1797, in cui un uomo dormiente è circondato da mostri, uccelli notturni e bestiali immagini oniriche .
La didascalia, che è il titolo del quadro, recita” Elsueno de la razòn produce monstruos”, la cui traduzione è doppia.
E’ il sonno della ragione che genera mostri, o non è piuttosto il “sogno” della ragione, elevata a criterio unico, universale, a suscitare un mondo invivibile, angosciante, abitato da creature spaventose ,attraversato da ogni sorta di incubi, deformato dall’ assenza di senso?
“Io semino soltanto. Altri/ verranno a raccogliere, è certo!/Benedici, o Signore,/ il sentiero delle giubilanti mietitrici” (Anna Achmatova – Canzone della canzone – da Lo stormo bianco)
(1 – Continua)
Fonte: Blondet & Friends