Non sai mai quanto sei forte, finché essere forte è l’unica scelta che hai – di Costanza Miriano

Costanza MirianoMezza cieca lo sono stata sempre (le ore sul Rocci, le nottate a scrivere e prima anche gli allattamenti non hanno certo aiutato), ma di solito dissimulo con una certa classe. A parte quando mi rompo un braccio e una gamba contemporaneamente andando a sbattere su un palo (a piedi). Ma negli ultimi tempi mi aggiro per le strade strizzando gli occhi, cercando di leggere quello che dicono le magliette delle persone.

A volte le pedino, ma è un po’ complicato, perché se le raggiungi da dietro comunque non riesci a leggere, dovresti superare di molto, poi girarti di scatto e sbirciare quando ce le hai di fronte.

Voi direste, come mio marito, che se ne può anche fare a meno. Che non è necessario leggerle tutte. Che quella che raffigura tutti i possibili umori di Darth Vader non è imprescindibile (lo so, la faccia è quella, ma mi divertiva l’elenco degli stati d’animo, epperò certo non si può mica prendere la metro nel senso sbagliato per questo).

Comunque, qualche giorno fa su una maglietta ho letto: “Non sai mai quanto sei forte, finché essere forte è l’unica scelta che hai”, Chuck Palahniuk (che poi sarebbe quello di Fight Club).

Forse stremata dallo sforzo della lettura telescopica camminata a coefficiente di difficoltà 5.0 (quattro figli e un nipote con cui conversare) non è che l’abbia capita tanto. Poi però, poche ore dopo, ascoltando la storia di una persona in crisi con il suo matrimonio, forse l’ho capita un po’ meglio.

Il momento in cui si vede quanta è la nostra forza, di che pasta siamo fatti, il momento in cui si parrà nostra nobilitate, è quando siamo messi davanti a una scelta.

Lo so, ci sono anche delle fasi, in alcune vite più che in altre, in cui non si può fare altro che stare lì, e tenere duro, e resistere meglio che si può. Anche quello è eroismo.

Penso per esempio a una malattia, a una menomazione. C’è chi la vive diventando santo, chi si divincola, ma insomma non è questione di scelta, in quel caso, o almeno non del tutto.

Penso piuttosto al momento di certe prove. Il momento in cui siamo messi davanti a una scelta. Possiamo decidere se stare lì o sistemarci un’altra situazione, magari anche umanamente ragionevole, e giustificatissima.

Penso a quella signora di cui mi hanno raccontato giorni fa le ultime ore di vita, che è stata lasciata dal marito per un’altra donna, e che gli è rimasta fedele per tanti anni, fino alla fine.

Penso a quel mio amico padre eroico che in una situazione simile ha scelto di non cercare un’altra compagna per non creare confusione nel cuore dei bambini.

Penso a quella mamma a cui hanno detto che il figlio che doveva nascere molto probabilmente sarebbe stato malato, e che ha scelto di farlo nascere comunque (anzi, non ha neanche scelto, non si è proprio posta il problema se ucciderlo o meno).

Penso a quella mamma meravigliosa accanto a un marito con gravi problemi psichici, che non solo sta con lui, ma ha deciso che va bene così, e non riesci a tirarle fuori una parola contro di lui neanche con le cannonate.

Penso a quella che si è seriamente, profondamente, perdutamente, castamente innamorata di un altro uomo, e che ha deciso di amputarsi una parte del cuore, la più tenera, e di rimanere al suo posto.

Penso a tanti di noi che rimangono ai propri posti con forza, riscegliendoli ogni giorno.

Sotto gli ombrelloni si sentono un sacco di trattati di sociologia, e buona parte vertono sullo sfascio generalizzato delle famiglie. È vero, è un’epidemia.

Però io non credo che le famiglie siano così messe male. Ce ne sono di fantastiche, proprio perché oggi chi di noi sceglie di rimanere al proprio posto lo fa non perché sia costretto da una qualche fortissima pressione sociale, né dal timore di un giudizio.

Quelli di noi che ce la fanno a restare non lo fanno perché non hanno scelta, ma perché riescono a vedere la bellezza nel quotidiano e la scelgono, e sono davvero forti, almeno a sentire Chuck Palahniuk.

Sempre che io abbia letto bene, sennò mi salta tutto il post.

Fonte: il blog di Costanza Miriano