Il governo cinese vuole «sradicare la fede dei tibetani e trasformare il Tibet in una regione atea dove il “comune spirito di civilizzazione” venga propagandato tra il popolo tibetano». È questo, in sintesi, il motivo di tutte le azioni repressive del partito comunista in Tibet, che dal 1950 sta attuando un «genocidio culturale» (Dalai Lama dixit) e una delle più grandi azioni di violazione della libertà religiosa e di culto al mondo. È questa la sintesi del “Rapporto sulla repressione religiosa in Tibet 2012″ stilato dal Centro tibetano per la democrazia e i diritti umani.
VIETATO PARLARE DELLE AUTO-IMMOLAZIONI. Dal febbraio 2009 a oggi 96 tibetani, sia monaci che monache che comuni cittadini, si sono dati fuoco per protestare contro questo tentativo cinese. Nonostante il Dalai Lama, che vive in esilio dal 1959, continui a chiedere al suo popolo di non arrivare a gesti estremi, il numero delle auto-immolazioni continua a crescere in modo esponenziale con il passare dei mesi (20 solo a novembre). Oltre a militarizzare la capitale Lhasa e tutto il Tibet e a impedire la libera circolazione delle persone dentro e fuori dalla Regione autonoma tibetana, il governo cinese per frenare questo fenomeno ha cominciato ad arrestare chiunque venga trovato a «parlare» o «scambiare informazioni sulle auto-immolazioni». Così, è il caso più recente, la polizia ha arrestato 15 tibetani nel Gansu per avere «pubblicizzato le auto-immolazioni e avere stretto contatti con elementi separatisti stranieri».
DALAI LAMA “LEADER SEPARATISTA”. Per la Cina il capo dei “separatisti” è appunto il Dalai Lama, nonostante abbia rinunciato da anni alla carica di leader politico del Tibet, che attraverso la sua “cricca” spinge i tibetani a darsi fuoco. Il rapporto sulla repressione religiosa in Tibet spiega molto bene le pratiche con cui il partito comunista reprime il popolo tibetano. Per ragioni di spazio, citiamo solo “l’educazione patriottica”, la cui violenza spinge molti monaci e monache buddhisti tibetani a lasciare i monasteri o scappare all’estero.
L’INFERNO DELL’EDUCAZIONE PATRIOTTICA. Essendo per la Cina il Dalai Lama «un leader che fa il doppio gioco» e che «sotto le mentite spoglie della religione» cerca di «ingannare i credenti, egli deve essere combattuto con la sua cricca» affinché il «Partito Comunista diventi il vero Buddha dei tibetani». Ecco perché in Tibet è proibito avere un’immagine del Dalai Lama e perfino parlarne. Per convincere i tibetani a rinnegare la loro guida spirituale, la Cina ha inventato l’educazione patriottica il cui motto è “Ama la tua patria, ama la tua religione”. Sono previste per tutti i tibetani, sia nelle scuole che nei monasteri, lezioni con lo scopo di «inculcare l’amore per il comunismo e la Madrepatria cinese, per sostituire questi alla religione; per denunciare il Dalai Lama e la sua cricca». Per questo, ad esempio, tutti i cittadini della Contea di Ngaba, dove si sono suicidati la maggior parte dei tibetani, sono stati costretti a recitare in pubblico queste promesse: 1) Mi oppongo al Dalai Lama 2) Non terrò foto del Dalai Lama in casa mia 3) Il mio pensiero non è influenzato dalla cricca del Dalai Lama 4) Non seguirò il separatismo 5) La cospirazione per dividere i paesi (Cina e Tibet) non funzionerà 6) Amo il partito comunista 7) Seguirò il Partito a qualunque costo 8) Riconosco la grande bontà del partito. Chi non rimane traumatizzato, specie tra i monaci, e non riesce a scappare spesso tenta il suicidio, al di là delle auto-immolazioni.
OBBLIGATI A RINNEGARE IL DALAI LAMA. Una novità del 2012 rispetto agli altri anni è la competizione annuale per monaci e monache a chi «eccelle nell’amare la nazione, il dharma, nel promuovere l’unità delle nazioni, nello studiare con volontà la conoscenza della religione e delle politiche ufficiali e nell’obbedire alle regole». Ad aprile, a Lhasa, il partito comunista ha premiato 6.773 monaci e monache per il loro «ottimo lavoro». Chi ha partecipato alla premiazione, ha dichiarato: «Erano circondati su tutti i lati da guardie armate. Alla fine dell’incontro, qualcuno gli ha chiesto quanto amavano la Cina, ma nessuno di loro ha detto neanche una parola». Il governo ha parlato invece del «grande entusiasmo che sprizzava dai monaci». Infine, quei monaci che si rifiutano durante le lezioni di “Educazione patriottica” nei monasteri di scrivere temi contro il Dalai Lama, contro l’indipendenza del Tibet, a favore del partito comunista, nei quali esprimano quanto amano la Cina e il partito vengono pestati a sangue o sbattuti in prigione, finché appunto non si dimostrano educati. Tutto questo è solo una parte piccolissima di quello che la Cina comunista fa ai tibetani, e che il rapporto con dovizia di particolari racconta, ma già basta a fare intuire la disperazione che porta alle auto-immolazioni.
Leone Grotti
Fonte: Tempi.it