Riconosciamolo, seppur sottovoce e con un certo imbarazzo, il primo compleanno del governo dei professori è stato moscio. Escludiamo pure, come si fa nelle statistiche, le due ali estreme, rappresentate da don Tonino e da don Gallo (a questo siamo giunti), il presidente Giorgio Napolitano è stato freddo, gli ottimati hanno taciuto, le grandi penne si sono messe in pausa, l’applauso (tenue) è venuto dai soli Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Luca Cordero di Montezemolo, Andrea Riccardi, Raffaele Bonanni, che nascosti sotto lo scudo di Monti bisbigliano: “adda passà ‘a nuttata”.
Ecco allora scattare in me il sentimento di solidarietà verso il governo in chiara difficoltà. Mi sono chiesto: perché risultati così disastrosi da persone così colte?
Avevano mano libera, potevano rivoltarci come calzini, invece sono costretti a farsi l’auto-endorsement con 17 pagine di imbarazzante auto-celebrazione, perché? Tutti dovrebbero saperlo, se imponi una politica basata sui “numeri”, devi accettare che siano i “numeri” a giudicarti: e i numeri (Istat) sono tutti peggiori di un anno fa. La formuletta inglese “it’s clear that things will get worse before they get better” ripetuta fino alla nausea (le cose vanno peggio prima di andare meglio) che ha funzionato nell’Estonia di Tomas Hendrik Ilves, un vero leader (con grave scorno di Paul Krugman), qua è stato un flop.
Così come l’ormai stucchevole «eravamo sull’orlo del burrone, grazie a noi siete salvi», gli italiani sanno che i “numeri” dicono altro: «se prima eravamo sull’orlo, ora ci siamo dentro»: in realtà non lo eravamo né prima né oggi. I professori si difendono: «se ci sono colpe, queste sono delle Corporazioni».
Ebbene i due terzi dei membri del governo appartengono alla peggior Corporazione del paese, quella dei burocrati pubblici: noti per mancare dei due requisiti base, «trasparenza» e «volontà semplificativa». Parlando a vanvera di patrimoniale e di tassazione, 235 miliardi (“bianchi” e tracciabili, fonte Fmi) si sono trasferiti all’estero, non per nascondersi, ma per sfiducia verso il governo. L’unica patrimoniale seria, quella suggerita da Oscar Giannino, a carico del patrimonio dello Stato, non è stata fatta.
Gli aspetti positivi. I professori al governo, tutte persone perbene, si sono rivelati ben attrezzati per colloquiare con gli attuali padroni del mondo occidentale: i tecnocrati. Una gang di furfanti cosmopoliti, compagni di master che fra loro parlano solo inglese, che campano con algoritmi truffaldini, che si sostengono e si riproducono fra loro, che praticano una feroce cooptazione chiamandola meritocrazia, che occupano tutti i gangli del potere occidentale, ebbene costoro hanno dato l’endorsement ai nostri professori: un indubbio successo.
Grazie ai professori, il berlusconismo è stato definitivamente cancellato, ma gli italiani, con buona pace di Montezemolo e soci, non intendono rinunciare al bipolarismo (democrazia è che la sera delle elezioni si sappia chi governerà e chi andrà all’opposizione): il dilemma di voto ormai è chiaro, o il Pd di Pier Luigi Bersani o il Movimento di Beppe Grillo. Anche per la nomina del nuovo capo dello Stato, grazie al governo dei professori, tutto si è semplificato.
Anziché aprire un dibattito infinito se sia meglio una Riserva della Repubblica (che poi è sempre Giuliano Amato), una donna (Rosy Bindi?, Cristina Comencini?), un nero (Mario Balotelli non ha l’età), uno della società civile (chi se non Gustavo Zagrebelsky?), si nomini Mario Monti, facciamo contento Obama, i “mercati” si quieteranno per 7 anni, essendo sobrio di natura finalmente ridurrà del 50 per cento i costi del Quirinale, spendendo come Buckingham Palace e l’Eliseo.
Negli ultimi otto anni abbiamo “provato” Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Monti, l’unica certezza è che oggi siamo più poveri, al punto da convincerci della validità del motto andreottiano (versione rassegnata, non quella cinica doc) «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Come dice Frau Merkel, questo il nostro destino per i prossimi anni cinque anni.
Fonte: Italia Oggi