Per il quinto anniversario del pontificato di Papa Francesco, Monsignor Dario Eodardo Viganò, responsabile della comunicazione vaticana e di Vatican News, ha reso nota una lettera del Papa Emerito Benedetto XVI indirizzata a Papa Francesco. Su questo tema abbiamo intervistato Monsignor Antonio Livi.
Professor Livi, la sorprende questo endorsment del Papa Emerito?
Perché?
“Perché anche i Papi precedenti, compresi quelli che già sono canonizzati (come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II) o lo saranno presto (come Paolo VI), non hanno impedito la progressiva egemonia della teologia neomodernista nella Chiesa. Io sto presentando in tutta Italia un libro molto significativo: “Un vescovo scrive alla Santa Sede sui pericoli pastorali del relativismo dogmatico” (Leonardo da Vinci, Roma 2017).
Sono le lettere che monsignor Mario Oliveri, quando era vescovo di Albenga, scrisse a Papa Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI per implorarli di mettere un freno all’invasione delle idee e della prassi neomodernistica nella Chiesa: ma da questi Papi il vescovo Oliveri non ottenne alcuna risposta positiva.
Il risultato è (come io sempre ripeto) che oggi abbiamo “l’eresia al potere” nelle strutture ecclesiastiche di insegnamento della teologia e di governo pastorale. Non sono sorpreso da questa dichiarazione di Ratzinger riguardo al comune criterio dottrinale che ispirava ieri il suo pontificato e oggi il pontificato di Papa Francesco: perché Bergoglio e Ratzinger sono i due volti della medesima medaglia.
Il tedesco è il Pastore colto e professorale, l’ argentino quello populista e demagogo, alla ricerca del consenso degli esponenti della cultura laicista”.
Per quale motivo afferma queste cose su Ratzinger?
“Io lo conosco bene, lo stimo e lo venero come uomo di Dio. Quando gli feci leggere (nel 2012) la prima edizione del mio trattato su “Vera e falsa teologia”, egli mi rispose per iscritto elogiando il mio lavoro. Ma certamente non condivideva il mio severo giudizio sulla falsa teologia cattolica filo-luterana, contraria all’immutabilità del dogma e alla sua concettualizzazione metafisica, accolta dal magistero ecclesiastico sulla scorta della teologia tomista e della tradizione scolastica.
Il teologo Ratzinger preferisce la teologia personalistica, esistenziale e dialettica: in fin dei conti appartiene al progressismo teologico, quello del suo amico Karl Rahner. Da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Ratzinger ha spesso lasciato correre l’ eresia, l’ha per lo meno tollerata. Magari dipende anche dalla sua delicatezza d’animo e dalla sua mitezza.
Tuttavia, non è possibile essere buoni teologi e soprattutto buoni Pastori se non si protegge il dogma dall’eresia (e la peggiore eresia è dire che la fede non ha bisogno di dogmi). Lui, Ratzinger, è incline alla interpretazione relativistica, storicistica (secondo la scuola ermeneutica) rispetto alla assoluta fedeltà per il dogma”.
Probabilmente ha scritto quelle cose a difesa della unità della Chiesa, intuendo il pericolo di uno scisma…
“Non ci credo. Lo scisma sostanziale è già in atto. Se davvero credeva al dogma ed intendeva liberare la Chiesa dalla eresia, non doveva dimettersi o poteva successivamente disapprovare le tesi di Papa Francesco. Ho la sensazione che sia un sapiente gioco delle parti. Francesco è il demagogo, Ratzinger il prudente”.
E la Chiesa?
“Nella difficoltà. Lo è dalla presa del potere da parte dei teologi modernisti, prima sotto il pontificato di Giovanni XXIII e dopo con il Vaticano II. Oggi essi sono a capo praticamente di tutti i dicasteri vaticani”.
In tv e nella maggior parte dei media, per commemorare i cinque anni del pontificato di Francesco, non si sono sentite voci critiche o per lo meno non sono state interpellate…
“Dimostra che l’ eresia è al potere. E abbiamo canonizzato anche l’ ignoranza”.
Bruno Volpe