Ogni quotidiano ha il suo vaticanista e Il Fatto Quotidiano si è scelto, non a caso, Marco Politi, anticlericale incallito, autore di libri abbastanza monotematici come “La confessione. Un prete gay racconta la sua storia” (2000) e “Io, prete gay” (2006). Nel 2007 ha definito il Papa un «uomo ossessionato dalla paura del secolarismo», quando poi il Pontefice ha indicato gli agnostici come aiuto ai credenti. Nel 2008 ha descritto il suo pontificato come uno «spasmo di contraddizioni», ma in realtà sono aumentati costantemente nel tempo gli uditori alle udienze del mercoledì (tutti interessati alle contraddizioni?).
Nel 2010 ha preso in giro Benedetto XVI accusandolo di non saper prendere posizione sulla questione “pedofilia”, anche se perfino il suo compagno di bufale anticlericali, Marco Ansaldo di “Repubblica”, è riuscito ad ammettere che «seguendo le Linee guida stabilite dal Papa» la Chiesa può «contrastare con efficacia il fenomeno della pedofilia». Lo stesso ha fatto Gianluigi Nuzzi (spesso citato dallo stesso Politi), quando ha affermato: «Benedetto XVI è un pontefice rivoluzionario perché ha imposto una linea eccezionale di fronte a scandali di una certa gravità (la pedofilia) per mantenere la Chiesa unita. Credo che egli stia introducendo cambiamenti positivi». Non riuscendo ad imbroccarne una, Politi ha tentato allora nel 2012 di accusare il Papa di aver coperto gli abusi di Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, ma anche in questo ha fatto fiasco.
L’ideologia che guida Politi gli ha inoltre impedito di riferire ai lettori che Ratzinger è stato completamente assolto dalla vicenda che lo riguardava, il “caso Murphy”, dopo che ha consumato fiumi di inchiostro accusandolo di “insabbiamenti”, di “perdita di credibilità” e chiedendone implicitamente le dimissioni. Il giornalista del Fatto non è nemmeno riuscito a trovare il coraggio per chiedere scusa delle sue profezie circa l’esito negativo del rapporto di Moneyval sull’anticorruzione che avrebbe impedito allo Ior, la Banca vaticana, di accedere alla white list delle banche mondiali. Ovviamente il risultato è stato opposto, ma il vaticanista Politi, al contrario dei suoi colleghi, non se l’è sentita di riferire la notizia.
Recentemente ha ancora mostrato la sua inattendibilità come cronista: parlando di Vatileaks ha sostenuto che il segretario del Pontefice, Georg Gaenswein, «lascia il posto di segretario personale del Papa» e si è divertito a sostenere che «si conclude, dunque, con due decapitazioni la prima fase di riorganizzazione interna vaticana», inventandosi che avrebbe «giocato un ruolo anche la latente tensione fra il segretario papale e il cardinale Bertone, segretario di Stato vaticano». Queste sono le classiche bufale di Politi, la verità è ovviamente un’altra.
Come scrivono i suoi due colleghi Gian Guido Vecchi e Paolo Rodari, autorevoli giornalisti che scrivono su quotidiani attendibili e non ideologizzati, si apprende che monsignor Georg Gänswein è invece stato confermato come segretario particolare di Benedetto XVI, e nominato prefetto della Casa Pontificia. Il segretario del Papa, al contrario dell’invenzione del vaticanista de Il Fatto, «esce da tutta la vicenda più che mai rafforzato», e inoltre «è a tutti gli effetti un attestato di stima e di fiducia del Papa nei suoi confronti e, insieme, un rafforzamento del suo peso all’interno dell’appartamento papale».
La cosa più singolare è che lo stesso Politi ha recentemente pensato di scrivere un sermone sull’etica del giornalista, come un maestro fa verso i suoi colleghi. Ha scritto: «Fare il giornalista non è scrivere ciò che mi pare». Senza pudore ha continuato: «C’è un patto che i giornalisti di qualsiasi tendenza stringono con i lettori. Informare correttamente». Ci chiediamo allora: quando Marco Politi inizierà a informare correttamente mettendo da parte la sua anacronistica ideologia anticattolica?
Fonte: UCCR