Crystal Kelley è una madre single di due bambini. Nel 2011 a causa delle difficoltà economiche in cui versa la sua famiglia decide di fare una scelta estrema e mettersi nelle mani di un’agenzia che si occupa di uteri in affitto. Poco dopo aver dato la sua disponibilità viene contattata da una coppia nell’agosto 2011: 20 mila dollari per portare loro figlio nel suo grembo.
UNA TERRIBILE ECOGRAFIA. A ottobre Crystal rimane incinta, per la gioia della coppia di donatori che colpiti dalla povertà della donna le fanno delle donazioni extra. Tra la coppia e la donna si instaura un buon rapporto, dunque, che però cambia radicalmente il 16 febbraio del 2012, quando durante un’ecografia di routine si scopre che la bambina nascerà con labbro leporino, palatoschisi, una cisti cerebrale, difetti cardiaci gravi e altri disturbi.
ABORTO TERAPEUTICO. I medici dell’Hartford hospital chiariscono che alla nascita la bambina avrebbe avuto bisogno di interventi chirurgici e che c’era solo il 25 per cento di possibilità che potesse avere una vita normale. «Viste queste prospettive, i genitori hanno ritenuto che la scelta più umana da fare sarebbe stata l’interruzione di gravidanza» racconta Kelley alla Cnn, che però decide di far nascere il bambino.
I genitori avvisano che non hanno intenzione di tenere la bambina malformata dopo il parto e offrono altri 10 mila dollari alla donna per abortire. Kelley tentenna, ma rifiuta i soldi e decide di partorire e cercare poi dei genitori che possano adottare la bambina.
MICHIGAN. «I calci che mi dava nella pancia mi facevano sentire quanto fosse viva e ho capito che dovevo lottare per lei». A fine giugno Swift nasce e viene presa in adozione da una coppia del Michigan con cui Kelley si tiene costantemente in contatto. Al termine della vicenda, la madre surrogata della bambina decide di aprire un blog, “Surrogate insanity”, per raccontare la sua storia e quella della bambina che nessuno, tranne lei, voleva far nascere.
«Tantissime persone mi hanno scritto che sarei andata all’inferno per il mio egoismo. Ma nessuno oltre a me poteva sentirla muoversi, tirare calci. Sapevo fin dall’inizio che questa bambina avrebbe avuto uno spirito combattivo incredibile, e che io l’avrei accompagnata nella sua lotta».
Elisabetta Longo
Fonte: Tempi