L’enorme eco che i mass media, ieri, hanno riservato alle parole di Papa Francesco contro la disparità di retribuzione fra uomo e donna potrebbero indurre più di qualcuno a ritenere che si sia trattato dell’ennesima “apertura” del pontefice argentino. Ora, anche sorvolando sul fatto che l’intervento del Santo Padre toccava, peraltro in modo profondo, prevalentemente un altro tema – quello della famiglia -, urge comunicare a giornalisti e titolisti dei principali organi d’informazione uno scoop: la Chiesa è sempre stata per la dignità della donna.
Ma sì, proprio così: la Chiesa, che in tanti ancora dipingono come arretrata e conservatrice, è storicamente stata una formidabile alleata per il percorso di crescita – progresso, potremmo dire – anche sociale della donna. Prova ne è, fra i tanti casi possibili, quello della formazione universitaria.
Si pensi, in particolare, all’esperienza di Elena Lucrezia Cornaro (1646-1684), la prima donna laureata al mondo: era oblata benedettina. Oppure si pensi a Laura Bassi (1711-1778), prima donna ad intraprendere una carriera accademica e scientifica in Europa nonché la prima al mondo ad ottenere una cattedra universitaria: a nominarla accademica, peraltro contro il parere degli altri docenti, fu nel 1745 Papa Benedetto XIV (1675-1758), che istituì per appositamente lei un posto, in origine non previsto, con tanto di pensione.
Che tutto ciò sia accaduto nella nostra penisola, culla europea della Cristianità, non sembra essere un caso se si pensa che ad Oxford le donne iniziarono ad essere ammesse soltanto nel 1920 e Cambridge non concesse diplomi di laurea alle donne fino al 1921.
Anche sulla questione salariale, sulla quale giustamente si è soffermato ieri Papa Francesco, non è certo una novità che la Chiesa abbia certe posizioni; anzi: già Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) esaltò senza mezzi termini il «”genio” della donna» (Mulieris dignitatem n. 30, 15.8.1988), denunciando apertamente la necessità di «parità di salario rispetto a parità di lavoro» (29.6.1995).
Del resto, il motivo dell’impegno della Chiesa per la dignità della donna – anche all’interno della coppia – origina dall’insegnamento di Gesù stesso (Mc10:2; Mt 19:3), anche se l’osservazione più acuta, sull’importanza dell’uguaglianza, fu forse quella – abbastanza nota e successivamente ripresa anche da altri – di san Tommaso d’Aquino (1225-1274), il quale fece notare l’opportunità del fatto che la donna si stata creata dalla costola dell’uomo. Un “particolare” non causale, argomenta l’Aquinate, perché funzionale ad indicare due cose.
La prima è che fra l’uomo e la donna deve esserci vincolo di amore.
La seconda, non meno importante, è che non si è creata la donna dalla testa maschile perché «non deve dominare sull’uomo», ma neppure dai piedi, perché non deve esserne schiava, bensì dalla costola per una giusta questione di uguaglianza (Cfr. S. Th., I, q. 92, a. 3).
Che poi la Chiesa, pur battendosi per la dignità della donna, non si allinei alle istanze di certo femminismo è indiscutibile.
Ma il problema, qui, non è la coerenza del pensiero cristiano bensì l’incoerenza di una cultura che da un lato dichiara di battersi per la dignità femminile e dall’altro nulla fa, per esempio, per la tutela della maternità tacendo pure sul nuovo schiavismo dell’utero in affitto. Morale della favola Papa Francesco, ieri, non ha inventato nulla, ma ha solo ripetuto un pensiero noto a chiunque non abbia pregiudizi.
Fonte: il blog di Giuliano Guzzo