Dalla caduta dell’uomo, il Paradiso è andato perduto. Il tentativo di riconquista di un mondo perfetto, che sia il paradiso in Terra o il Non Dove (Utopia) ha contrassegnato le aspirazioni e il pensiero degli esseri umani sin da allora. Tutte le religioni che credono in una vita dopo la morte, hanno un comune denominatore: quasi tutte credono in una qualche forma di paradiso. In questo contesto, il paradiso è, anche per gli ebrei, sinonimo di paradiso celeste.
Alessandro Scafi si chiede nel suo importante libro Mapping Paradise – A History of Heaven on Earth (London, British Library, 2006; in Italia: Il paradiso in terra. Mappe del giardino dell’Eden, Milano Paravia Bruno Mondadori, 2007): dove si trova il non-dove?
Il termine «paradiso» deriva dall’antico persiano pairi («intorno») daeza («mattone» o «forma»). Uniti in un’unica parola, il significato diviene «giardino recintato da mura». Il termine è stato introdotto nelle lingue europee attraverso il greco, quando Senofonte lo ha tradotto in paradèisos. La tradizione persiana di costruire giardini cintati, con bacini idrici rettangolari e piante odorose, deriva dalla tradizione della dinastia Achemenide dei terreni recintati utilizzati per la caccia ai leoni, pratica rituale dell’autorità reale divina. In seguito la tradizione del giardino paradisiaco si estese all’India dei Moghul (Taj Mahal ), poi sotto l’islam, nella regione del Medio Oriente fino all’Andalusia (Alhambra, Granada) e più tardi, in Europa. La parola ebraica pardes, deriva dal greco o dal persiano e significa giardino, frutteto. Il paradiso biblico in ebraico si dice gan eden che fu tradotto in latino hortus deliciarum. Il latino medievale usava più spesso il termine paradisus.
«Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c’è l’oro e l’oro di quella terra è fine; qui c’è anche la resina odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre intorno a tutto il paese d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Genesi, 2, 8-15).
Nell’ebraismo il concetto del ritorno al paradiso si differenzia da quello cristiano. La redenzione individuale e collettiva dipende dal libero arbitrio del credente di scegliere tra il bene e il male. Poiché egli è responsabile della sua scelta, Dio lo premierà o lo punirà, in Cielo (a volte viene usato anche il termine Gan Eden, ovvero, paradiso) o all’Inferno.
Nel contesto di un dibattito sul libero arbitrio, il Talmud menziona Rabbi Akiva, che ne è un grande protagonista, il quale disse, nel Trattato dell’Hagiga xv, quanto segue: «Dio ha creato gli uomini giusti e gli uomini cattivi. Allo stesso modo ha creato il paradiso e l’inferno. Il giusto sarà ricompensato con un posto in paradiso, il cattivo riceverà la sua punizione all’inferno». Non vi è alcuna remissione del peccato originale perché non c’è alcun intervento di un mediatore come Gesù in quanto figlio di Dio che secondo il cristianesimo ha redento l’umanità con la sua crocifissione.
L’ubicazione del paradiso è intesa accanto a Dio. Il Libro dei Giubilei che è stato scritto in ebraico circa nel 150 prima dell’era cristiana, ha consacrato nel capitolo 8 versetto 19 tre luoghi come luoghi santi, tutti nella parte del mondo che è assegnata a Sem, figlio di Noè, ovvero l’Asia. «E dato che sapeva che il giardino di Eden era santo dei santi (Sancta Sanctorum) e dimora del Signore e che il monte Sinai, centro del deserto, e il monte Sion, centro dell’ombelico della terra, tutti e tre, l’uno di fronte all’altro, erano stati creati per la santità».
Poiché il libro fu scritto quando ancora si usava adorare sul Monte del Tempio (Moria), l’ubicazione del paradiso (Gan Eden) era identica al Santo dei Santi. Il paradiso non si trovava a est ma nell’area più a ovest del territorio asiatico di Sem, ovvero in terra di Israele.
Nel suo viaggio attraverso la terra e l’inferno, la versione etiope di Enoch ha ubicato, in i Enoch, 26, 1-4, un giardino benedetto in un luogo che coincide con la descrizione topografica di Gerusalemme. «E andai di là nel mezzo della terra [Monte Sion] e vidi un luogo benedetto [in cui vi erano alberi] con rami fioriti e durevoli [di un albero smembrato]. E lì vidi una montagna sacra [Monte Moriah] [e] sotto la montagna, ad est, c’era un ruscello [Kidron] e scorreva verso sud. E vidi verso est un altro monte più alto di questo [Monte degli Ulivi], e tra questi una gola stretta e profonda».
Le prime tradizioni ebraiche non contemplavano l’est come ubicazione del paradiso, benché il derivativo etimologico del termine Kedem potesse significare «prima» o «primo» o, in seguito, «est», dove il sole sorge prima.
La tradizione ebraica ha collocato il paradiso sul Monte del Tempio (Moriah) o, in seguito, lungo la Valle del Giordano, o a Gerico o Bet Shean (in greco Skytopolis). Secondo Genesi, 2, 8, il paradiso fu creato prima dell’uomo, o a est. Esistono, tuttavia, tradizioni rabbiniche nella Bereshit Rabba 15b, che affermano che il Giardino delle Delizie (Gan Eden) fu creato prima del Tempo. Mikedem significa non «prima della creazione» ma «prima che l’uomo venisse creato».
Fonte: L’Osservatore Romano