«Finché tutto il materiale rilevante non sarà disponibile agli studiosi, questo tema resterà aperto a ulteriori indagini» è forse questa, tra le righe, la novità sostanziale di un cambiamento che in poche ore ha fatto il giro del mondo. Il museo di Yad Vashem dedicato alla storia della Shoah ha infatti sostituito la controversa didascalia posta sotto la foto di Pio XII, un testo che definiva «ambiguo» il comportamento del Papa di fronte allo sterminio degli ebrei.
Il 1° luglio il sito del museo ha annunciato che «di recente, seguendo le raccomandazioni dell’Istituto internazionale per la ricerca sull’Olocausto dello Yad Vashem, è stato aggiornato il pannello relativo alle attività del Vaticano e di Papa Pio XII nel periodo bellico. Tale aggiornamento rispecchia le ricerche compiute negli ultimi anni e presenta un quadro più complesso rispetto a quello precedente. Contrariamente a quanto riportato — sottolinea il comunicato — la modifica non è il risultato di pressioni esercitate dal Vaticano».
E così il pannello innanzitutto cambia titolo: non più «Pio XII e l’Olocausto» ma «Il Vaticano e l’Olocausto» e nelle prime righe, a proposito del concordato tra Santa Sede e Germania del 1933, mentre prima si affermava che esso «significò riconoscere il regime razzista nazista», ora si legge che il cardinale Eugenio Pacelli, segretario di Stato, firmò il concordato «al fine di preservare i diritti della Chiesa cattolica in Germania».
La nuova didascalia sottolinea che «la reazione di Pio XII, Eugenio Pacelli, all’assassinio degli ebrei durante l’Olocausto è oggetto di controversia tra gli studiosi». La differenza di prospettiva è sostanziale. La controversia sul ruolo del Pontefice durante le persecuzioni naziste nei confronti degli ebrei è ancora lungi dall’essere chiusa.
Ma il passaggio è di quelli da segnalare come qualitativamente rilevanti. Dal terreno dell’ideologia sembra che si riesca passare a quello della valutazione storica: «Nel corso degli ultimi anni — si legge infatti nel comunicato del museo — nuove ricerche, basate in parte sull’apertura di raccolte d’archivio come quelli di Pio XI (fino al 1939), ma anche su altre informazioni, comprese quelle presentate durante l’iniziativa accademica internazionale “Pope Pius XII and the Holocaust. Current State of Research” che si è svolta a Yad Vashem nel 2009 [degli atti di questo convegno è imminente la pubblicazione], hanno chiarito alcune questioni, lasciandone però aperte molte altre. Solo quando si potrà disporre di tutto il materiale sarà possibile avere un quadro più chiaro (…) Lo Yad Vashem attende con ansia il giorno in cui gli archivi vaticani saranno aperti ai ricercatori, di modo che si possa giungere a una comprensione più chiara degli eventi».
Si restituisce, quindi, valore primario ai fatti, ai documenti, alle testimonianze.
Per questo si è adoperato a lungo, con fermezza e rispetto, il nunzio apostolico in Israele e Cipro, l’arcivescovo Antonio Franco, e per questo ha lavorato negli ultimi anni anche «L’Osservatore Romano» cercando di recuperare voci, ricordi, sensazioni, fatti dalla memoria dei sopravvissuti e dagli archivi con lo scopo di offrire testi e documenti nuovi alla valutazione degli storici. Un impegno che ha suscitato molto interesse su più fronti, come ha mostrato l’iniziativa di un’importante editore italiano che ha voluto raccogliere in un volume parte dei contributi pubblicati sul nostro giornale (In difesa di Pio XII. Le ragioni della storia, Venezia, Marsilio, 2009, pagine 168, euro 13).
«Il pannello — si legge sul sito di Yad Vashem — indicava che la reazione di Pio XII era una questione controversa. Alcuni visitatori non capivano quale fosse la controversia.
Ora il pannello la spiega in modo più dettagliato». E così nella didascalia viene ora citato anche il passaggio del radiomessaggio natalizio del 1942 dove Papa Pacelli fa riferimento alle «centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talvolta solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate a morte o a un progressivo deperimento». Il testo sottolinea come i critici del Pontefice attribuiscano a «mancanza morale» l’assenza di un’esplicita condanna dell’assassinio degli ebrei, ma apre la questione sui due versanti del dibattito.
Da una parte, infatti, la mancanza di un’indicazione netta «consentì a molti di collaborare con la Germania nazista rassicurati dall’opinione che ciò non era in contraddizione con gli insegnamenti morali della Chiesa»; d’altra parte però, oltre a riconoscere l’iniziativa del salvataggio degli ebrei da parte di singoli preti e laici, la didascalia esplicita anche le ragioni di quanti «ritengono che questa neutralità evitò più dure misure contro il Vaticano e contro le istituzioni della Chiesa in tutta l’Europa, consentendo così che avesse luogo un considerevole numero di attività segrete di salvataggio a differenti livelli della Chiesa».
E, chiosa in calce la dichiarazione pubblicata sul sito del museo: «Naturalmente nessun pannello museale potrà mai sondare pienamente un argomento, quindi a quanti sono interessati a saperne di più, la biblioteca e gli archivi dello Yad Vashem offrono un’enorme quantità di materiale». Come dire che su una materia tanto importante quanto delicata non ci si può fermare alle definizioni e agli slogan, ma occorre un serio, approfondito e rispettoso lavoro di studio e di ricerca.
Finalmente, insomma, si parla di storia, di documenti, di nuove acquisizioni. E si dà conto di un dibattito aperto.
Senza dubbio aperto, almeno stando a considerare le prime reazioni all’annuncio dello Yad Vashem. Sul notiziario quotidiano in rete dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, «l’Unione informa», il 2 luglio si evidenzia già un acceso confronto. Molto dure appaiono le posizioni del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, e dell’ambasciatore Sergio Minerbi convinti che la correzione del pannello del museo sia solo il frutto delle pressioni diplomatiche vaticane.
Un frutto che per il primo «lascia l’amaro in bocca» e che per Minerbi è una vera e propria «vergogna». L’ambasciatore registra con disappunto la posizione dello Yad Vashem che «agisce come se fosse neutrale in materia».
Su un piano diverso si pone la valutazione della storica Anna Foa: «Non mi sembra che la nuova didascalia rappresenti un ammorbidimento del giudizio rispetto a quella precedente»; quello che emerge oggi è «un giudizio più che morale, storico: la consapevolezza che ci si trova all’interno di un dibattito ancora aperto». La didascalia precedente — continua Foa — «era frutto, a mio avviso, di un giudizio dogmatico, assoluto, che prescindeva dall’esistenza di un dibattito a livello storiografico e dell’esistenza di nuova documentazione a livello dell’individuazione dei fatti.
La nuova apre la strada ad ulteriori modifiche, in un senso o nell’altro, a dimostrazione che la storia si basa sui documenti e sulle interpretazioni, non sui pregiudizi politici o sul senso comune. E i responsabili di Yad Vashem hanno dimostrato, con questo gesto coraggioso, di esserne pienamente consapevoli».
Su questa linea si colloca anche il diplomatico e saggista Vittorio Dan Segre che ha sottolineato: «La battaglia di chi da parte ebraica vorrebbe condannare la figura di Papa Pacelli a restare perennemente rinchiusa in una dimensione di condanna morale senza appello non è alla lunga sostenibile sotto il profilo politico e forse anche sotto quello storiografico».
di MAURIZIO FONTANA
Fonte: L’Osservatore Romano 2/3 luglio 2012
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