Approvata la legge sulle Unioni civili, l’omosessualità è diventata un bene giuridico. Il primo effetto, da cui promanano tutti gli altri, è proprio questo: l’omosessualità e le condotte che la esprimono non sono più rispettivamente una condizione e comportamenti privati scevri di rilievo e interesse pubblico, ma la prima diventa uno status giuridico e le seconde veri e propri diritti. Sia tale status che i diritti sono dunque da oggi meritevoli di riconoscimento e tutela da parte dello Stato.
Quest’ultimo, anche nella prospettiva liberista che lo permea, considerava sino a ieri l’omosessualità come fenomeno sociale indifferente al bene comune.
Ma proprio a motivo di questa prospettiva libertaria il nostro ordinamento giuridico si è trovato costretto ad elevare a diritto il mero “affetto” (così come la legge 40 eleva a diritto il mero desiderio del figlio), privo di suo di ricadute positive per la collettività ed anzi – come ricorda la famosa Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2003 – foriero di danni per il bene comune.
La Cirinnà dunque prima di legittimare il “matrimonio” omosessuale, ha legittimato l’omosessualità, condizione che nella prospettiva giusnaturalista potrebbe essere tuttalpiù tollerata e non certo elevata a status giuridico.
Se la stessa omosessualità non fosse riconosciuta come bene giuridico non si potrebbe logicamente nemmeno legittimare il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso.
Tale legittimazione, che ha fatto uscire la condizione omosessuale dal cono d’ombra dell’insignificanza giuridica, porta con sé alcune conseguenze giuridiche rilevanti che vanno ben oltre l’ambito di applicazione della stessa Cirinnà.
La prima: l’omosessualità è un bene giuridico proprio della persona e dunque assimilabile a condizioni quali l’etnia, la razza, l’appartenenza religiosa, il sesso di appartenenza che sono tutti status naturali del soggetto perché aspetti identitari dell’uomo.
L’omosessualità diventa variabile identitaria qualificata dell’ordinamento, condizione naturale e categoria antropologica fondamentale che lo Stato, seppur in ritardo, ha riconosciuto e che forse dovrà trovare una propria collocazione addirittura in seno alla Costituzione, accanto agli articoli che tutelano la famiglia, la libertà religiosa, l’etnia, etc.
Ne discende l’obbligo in capo alle istituzioni di attivarsi per approntare tutti quegli strumenti di garanzia indispensabili affinchè il cittadino possa pienamente vivere la propria omosessualità.
Ecco allora concretarsi due ipotesi. O si tirerà fuori dal cassetto il Ddl Scalfarotto sulla cosiddetta omofobia – che appunto sanzionava atti di discriminazione “omofobi” al pari di quelli commessi per motivi di ordine razziale, religioso, etc. – oppure, ma molto più in subordine, non servirà nemmeno una legge Scalfarotto dal momento che qualsiasi giudice potrà ricavare dalla legge sulle Unioni civili il diritto della persona omosessuale di vedersi tutelato il suo particolare status giuridico.
Una seconda conseguenza sarà il varo di leggi ad hoc che assegneranno rilevanza giuridica alle peculiarità dell’omosessualità in alcuni ambiti sociali.
Come oggi abbiamo ad esempio leggi che tutelano la maternità e la paternità in ambito lavorativo, o norme sulla disabilità, o una disciplina giuridica sulla libertà di culto, così domani avremo leggi che privilegiano la condizione omosessuale nelle professioni, che incentivano massmediaticamente la promozione dell’omosessualità, che prevedono quote arcobaleno in Parlamento e così via.
Una terza ricaduta della legge Cirinnà riguarderà l’educazione nelle scuole, ambito già ampiamente interessato dall’ideologia gender. La nuova antropologia giuridica soggiacente alla Cirinnà afferma che è un bene per la società anche l’orientamento omosessuale e il gender.
Un dato rivoluzionario che non potrà non entrare ora nei piani formativi di ogni scuola di qualsiasi grado con un peso assai maggiore rispetto al passato.
Ai bambini verrà insegnato che persone dello stesso sesso hanno diritto a “sposarsi” tra loro ed ad avere figli, che l’identità di genere – la percezione di sé come appartenente al mondo maschile e femminile – può lecitamente svincolarsi dall’identità sessuale – l’appartenenza al sesso genetico – che la scelta del proprio orientamento sessuale e del proprio sesso psicologico è espressione di una libertà presidiata dalle leggi, che il riconoscimento dell’omosessualità e del gender come diritti civili è stato storicamente l’esito felice di una lotta di una minoranza contro il conservatorismo dominante per l’affermazione di una propria identità specifica, così come avvenuto nel passato per i poveri, i neri e le donne (si entrerà in una narrativa epica).
Quarta conseguenza: se omosessualità e gender sono stati civili giuridicamente tutelati e quindi beni che si inseriscono legittimamente nel corpus di principi chiamato “ordine pubblico”, la dottrina della Chiesa entrerà in rotta di collisione con tale ordine pubblico.
Il Magistero e tutti coloro che lo rispettano diventeranno nemici potenziali non solo della singola persona omosessuale in quanto omosessuale – ben prima perciò che ci sia una concreta e attuale condotta discriminatoria – ma anche dello Stato italiano proprio perché il portato culturale e dottrinale cattolico va a minare alla base quel plesso di principi su cui si fonda la convivenza civile, al cui interno – come appuntavamo – ora bisogna annoverare anche l’omosessualità e il gender. Il cattolico potrà sempre più essere percepito come cittadino infedele, come nemico pubblico.
In sintesi: andare a legittimare il “matrimonio” omosessuale di necessità significa a monte, seppur implicitamente, considerare l’omosessualità come bene giuridico, la persona omosessuale come nuova categoria giuridica e le condotte omosessuali come diritti soggettivi. Legittimare gli effetti comporta legittimare le cause.
Tommaso Scandroglio è docente di Etica e bioetica, Università Europea di Roma
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