La vicenda che sta vedendo protagonista la Diocesi di Reggio Emilia in queste ore circa il prossimo gay pride merita alcune sottolineature non di poco conto. Da due giorni i media nazionali stanno presentando la vicenda reggiana così: i buoni, il gay pride che si svolgerà il 3 giugno prossimo; i cattivi, un gruppo di cattolici tradizionalisti-oltranzisti-integralisti-retrogradi etc etc che si è opposto organizzando una processione di riparazione poche ore prima della sfilata gaia per le vie della Città del Tricolore; il bravo, il vescovo di Reggio che ha fatto sapere di non aver concesso né la cattedrale né il sagrato per questa celebrazione “contro” quindi, implicitamente acconsente alla kermesse arcobaleno dove il sesso promiscuo la farà da padrone, e tanti auguri per la salute pubblica.
Ma sullo sfondo c’è anche una veglia antiomofoba svoltasi domenica scorsa in una parrocchia reggiana, quella di Regina Pacis, che è stata presa a modello dagli autonominati “cristiani Lgbt” di Gionata.org come un bell’esempio di una Chiesa finalmente aperta e accogliente e inclusiva delle differenze e non giudicante etc etc… e che per certi versi è il vero scandalo di questa vicenda tanto che è stata la molla che ha costretto alcuni fedeli a manifestare il loro disappunto.
Questo il quadro. Ci sono diversi però, appunto, che sono indispensabili per focalizzare quello che sta accadendo a Reggio come un bello scherzetto del cornuto. Anzitutto la cronistoria dei fatti.
Nel giro di poche settimane a Reggio Emilia è successo di tutto.
Nel marzo scorso viene indetto il Gay Pride previsto per il 3 giugno prossimo. Nello stesso mese il vescovo reggiano proclama per il 13 maggio l’atto solenne di consacrazione della Diocesi al Cuore Immacolato di Maria. I due eventi sono scollegati ovviamente tra di loro, ma solo qui sulla terra. C’è qualcuno, laggiù, che lavora per farli “incontrare”.
L’occasione si presenta a fine aprile con l’esposizione in una parrocchia reggiana di un manifesto: “Benedite e non maledite”. E’ il manifesto con il quale la parrocchia di Regina Pacis pubblicizza la prima veglia reggiana contro l’omofobia e la transfobia.
L’iniziativa si collega tramite il portale dei cristiani Lgbt Gionata.org nel solco delle molte veglie simili che si svolgono in tutt’Italia dal 14 maggio a oggi, guarda caso pochi giorni dopo l’anniversario di Fatima. Veglie che hanno ricevuto il placet anche di vescovi, come è il caso di Bologna.
Ma è a Reggio Emilia che la notizia fa più clamore. Quella è la città che si sta preparando a festeggiare, con il patrocinio di Comune e altri enti pubblici, la festa dell’orgoglio gay.
E pazienza per il rischio epatite che le organizzazioni sanitarie sollevano. L’importante è avere il preservativo. E infatti di preservativi, è annunciato, a Reggio ne verranno distribuiti a gogo.
I giornali locali fiutano subito la notizia e ci si buttano a pesce. “In chiesa si prega per i gay”. Segue commovente discorso del parroco di Regina Pacis sull’inclusione, l’amore etc… San Paolo? Il catechismo? Chi li ha visti? I dati reali sull’inesistenza del pericolo omofobico in Italia? Niente. L’importante è essere inclusivi.
La diocesi accusa il primo colpo, il vescovo si arrabbia, ma si va avanti. Alcuni giorni dopo è annunciata su un giornale locale la presenza alla veglia niente meno che del vicario generale del vescovo. La curia non smentisce.
Gli Lgbt cantano vittoria: “Finalmente la Chiesa è con noi”.
E la nota della Congregazione per la Dottrina della fede del 1986 che proibisce ai vescovi di sposare iniziative che promuovano in ambito cattolico quello che il catechismo definisce ancora un disordine morale che grida vendetta al Cielo?
E la Bibbia che ci va giù pesante dicendo che “gli omosessuali non entreranno nel Regno di Dio”? Il sunto non è includere, ma accompagnare, insegnando la castità, come dimostra l’esperienza di Courage, ma il messaggio è offuscato da alcune tendenze omoeretiche anche dentro la Chiesa, quindi si passa oltre.
Di là si cita Papa Francesco a gogo, quindi, per timor di Papa, infondato come leggerete qui, si aggiunge un altro tassello.
Tempo poche ore e alcuni fedeli gravitanti attorno al giornale di contro informazione Radio Spada lanciano l’allarme e denunciano la veglia Lgbt in chiesa con presenza del vicario generale.
Ma, nell’eccesso di apparire più puri di tutti, si lanciano in un’intemerata contro il vescovo di Reggio, reo di lasciare campo libero ad omosessualisti e affini e contemporaneamente di consacrare la Diocesi al Cuore Immacolato di Maria, che in fondo è una specie di atto dovuto. Dovuto mica tanto visto che non l’ha fatto praticamente nessuno.
Insomma: gli ingredienti per un polverone ci sono tutti. Infatti, neanche il tempo di portare in processione la Madonna, in un evento di popolo straordinario, ma puntualmente snobbato dai media mainstream locali oltre che da Radio Spada e compagnia, che la guerriglia riprende. Lo stesso giorno il giornale annuncia la nascita di un comitato Beata Giovanna Scopelli che annuncia l’intenzione di una processione di riparazione pubblica con sede la Cattedrale di Reggio.
E scoppia il finimondo: la pagina Facebook del comitato, che presenta solo alcune sigle di appoggio come Riscossa Cristiana, Radio Spada, ProVita onlus e Chiesa e Post Concilio, ma nessun nome e cognome riscontrabile o referente ottiene più di 500 iscrizioni.
I giornali ne parlano e il vescovo, appreso tutto, è costretto a dire che il comitato non si è mai interfacciato con la curia né per chiedere la cattedrale né per farsi autorizzare, o quanto meno condividere la processione.
I giornali parlano di una sconfessione dei tradizionalisti da parte del pastore reggiano, il quale però viene comunque bersagliato dall’Arcigay locale che gli ricorda di aver partecipato ad un evento omofobo alcuni anni prima con la presenza dell’avvocato Gianfranco Amato.
Ma Camisasca è nel mirino delle gaie combriccole anche perché aveva dato ospitalità a Courage, osando dare spazio a chi dice che l’omosessualità è una tendenza moralmente erronea e che va affrontata con castità e preghiera, per non cadere nell’omoerotismo praticato.
Tutto perfettamente in linea con il Magistero, anche quello più aggiornato, della Chiesa. Ma inaccettabile adesso che, anche nella Chiesa, ci si deve piegare al diktat totalitario che gay è soltanto una variante naturale della sessualità.
Si va avanti così: con il comitato indomito, dietro al quale stanno alcuni reggiani che frequentano ambienti lefevbriani che celebrano in una frazione di Correggio (a proposito, chi glielo dice in curia che Papa Francesco è loro amicone e non devono fare più paura?) nella parte dei barricaderi anni ’70, della serie né con lo Stato né con le Br.
E con i giornali che sparano a palle incatenate su questi vecchi rottami della Chiesa che proprio non ne vogliono sapere di cedere il passo al nuovo che avanza. Chi glielo spiega che i membri del comitato in questione sono tutti abbondantemente sotto i 40 anni?
Alcune considerazioni. Anzitutto sugli organizzatori della processione riparatrice: d’accordo, c’è un problema di metodo. D’altra parte annunciare una veglia di preghiera senza mai farsi vedere in volto e spendendo il nome della Cattedrale senza averne mai parlato col vescovo appare un po’ truffaldino.
Che è un po’ come il benzinaio che per cuccare si presentava come il Mario del ramo petroli. Così come è vero che la ribattezzata “marcia antigay” a molti è parsa come una provocazione nei confronti del vescovo, almeno nella tempistica.
Di quelle della serie: visto che tu non ti muovi a parlare noi siamo più Chiesa di te e ci facciamo giustizia da soli. Comprensibile forse nei tempi che viviamo, drammatici, ma per certi versi un po’ comodo e di sicuro non rispettoso del cosiddetto sentire cum ecclesia.
Detto questo resta un fatto incontestabile: la contro veglia di riparazione è una sveglia suonata in faccia alle 4 di notte ad un clero che non fa mistero di essersi addormentato sui basilari. Il gong al politicamente corretto ecclesiale che ha svenduto l’anima per il consenso relativista.
Se c’è una cosa che si può rimproverare agli organizzatori sono i toni, non certo il cuore dell’iniziativa che invece, comunque la si cerchi di analizzare, è indispensabile e verrà replicata in altre forme nei giorni seguenti il gay pride da altri gruppi di fedeli.
Anzi: doveva essere capitanata dalla Chiesa locale, non da un gruppo minoritario che così ha buon gioco nel dire o con noi o contro di noi.
E qui veniamo alla Chiesa reggiana. A forza di chiudere gli occhi su iniziative di un clero progressista che fa strame della dottrina e del Vangelo, barattandolo con un messaggio da Baci Perugina, non ci si deve stupire se qualcuno, si alza e grida che il re è nudo. Se si smette di dire la verità sulle cose, sull’uomo e sul progetto di Dio, le conseguenze sono il caos.
Alla veglia anti omofoba la benedizione finale è arrivata non dal vicario generale, ma dal vicario urbano, quindi sempre un rappresentante del vescovo, che di nome fa don Giuseppe e di cognome fa Dossetti. Un cognome, una garanzia, un simbolo.
Lamentarsi perché alcuni giovani si appropriano delle insegne di cattolico (tranquilli, sono comunque battezzati a tutti gli effetti!) e provano a reagire ad uno spettacolo che offende la morale è il tipico chiudersi a riccio di un’istituzione arrivata al capolinea per assenza di motivazione e di contatto con il popolo.
Infine uno sguardo, benevolo, ma senza compiacenze nei confronti di Camisasca. Avrà anche chiuso gli occhi per dovere di scuderia di fronte alla veglia degli omoeretici locali e per questo gli ricordiamo che nel 2000 Giovanni Paolo II utilizzò parole molto chiare sui nascenti gay pride. E’ ancora in tempo.
Però ha regalato alla sua Chiesa un lasciapassare per il Paradiso di quelli da manuale. La Consacrazione al Cuore Immacolato è l’evento ecclesiale più significativo che si sia mai verificato nella rossa Reggio negli ultimi 30 anni, a detta di tutti i 5.000 che sabato sera hanno affollato le vie del centro cantando Mira il tuo popolo.
Camisasca ha sfidato buona parte del suo clero refrattario a questi devozionalismi per eseguire un ordine impartito al mondo dalla madre celeste.
Poteva non farlo e accodarsi come quasi tutti gli altri suoi confratelli italiani nel calduccio anonimato delle celebrazioni fatimite. Invece l’ha fatto e il diavolo gli ha sferrato un caos di lustrini e paillettes che farà parlare ancora per un po’ la città. Passerà. Resterà sul fondo l’evento della sera del 13 maggio.
Non riconoscerlo significa non comprendere la portata di questo atto gradito a Dio. Ed è per questo che in tutta questa triste vicenda, la vera vittima sacrificale appare lui. Che per amore della Chiesa ha osato sfidare il cornuto e si è scottato le penne. Però, ha accumulato anche un grande merito, che gli sarà riconosciuto – glielo auguriamo – a tempo debito.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana