Si chiama «La sollevazione delle donne nel mondo arabo» (letteralmente “Intifada”, in arabo) la campagna per i diritti delle donne arabe lanciata, con successo fulminante, il primo ottobre scorso via Internet. Le adesioni, riportate dalle organizzatrici della brillante pagina di Facebook – le libanesi Diala Haidar e Yalda Younes, la palestinese Farah Barqawi e l’egiziana Sally Zojney – sono in continua crescita: in pochi giorni, già quarantamila adesioni di navigatrici del web, arabe e non, interessate a esprimere solidarietà alla causa.
Il progetto nasce da un timore fondato, cioè che dopo la condivisione degli slanci rivoluzionari da parte di uomini e donne tunisini, egiziani, libici, le rispettive società ricaccino la componente femminile in un angolo. Anzi, si teme il peggio, se le bozze di Costituzione allo studio dopo il trionfo delle formazioni politiche islamiste dovessero andare in porto. In Tunisia, sembra per il momento sventato il tentativo della componente più radicale di Ennahda (“La rinascita”, partito di maggioranza) di introdurre, con l’articolo 28, il concetto di «complementarietà» fra i sessi.
Sotto la pressione delle proteste popolari le sottocommissioni dell’Assemblea costituente hanno fatto un passo indietro, ritornando all’«uguaglianza» fra cittadini e cittadine. Il testo definitivo, tuttavia, non è pronto: l’opposizione laica è pronta a dare battaglia, prima che la bozza sia sottoposta al voto del Parlamento e alla successiva ratifica popolare.
Quanto alle donne egiziane, si preannunciano tempi bui: nella bozza, parziale, di Costituzione presentata in settimana, l’articolo 36 stabilisce che la parità fra i sessi non deve entrare in conflitto con «i principi della sharia» e lo Stato deve far sì che una donna possa conciliare «i propri doveri nella famiglia e il suo lavoro nella società».
D’altronde, i principi della sharìa rappresentano i riferimenti legislativi della carta egiziana fin dagli anni 70: ora i membri salafiti della costituente intendono cancellare il lavoro decennale di organizzazioni per la difesa dei diritti umani come il Consiglio nazionale egiziano per l’infanzia e la maternità, che ha ottenuto, tre anni fa, la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili e del matrimonio fra minori di 18 anni.
Intanto la qualità della vita delle donne egiziane peggiora di giorno in giorno, con l’aumento esponenziale dei casi di molestie e violenze sessuali, anche in pieno giorno, nel cuore delle città, ai danni di donne di ogni età e abbigliamento. Di più: a Tunisi, e non nella integralista Riad, una ragazza che era stata violentata da due poliziotti è stata accusata di comportamento indecente. Siccome scendere nelle piazze sta diventando sempre più pericoloso, con la polizia e gli avversari politici pronti alla violenza fisica, ora la protesta femminile si espande su Internet, primo strumento di ribellione contro i regimi dei dittatori Ben Ali, Mubarak, Gheddafi.
Fra le donne che stanno aderendo alla campagna virtuale ci sono ragazze e signore che non si nascondono, anche di alcuni uomini che condividono la causa. I cartelli esibiti nelle foto di chi aderisce sono in arabo, i post in francese e inglese. Chiedono pari diritti, libertà di espressione. Come Magi, che vive in Egitto: «Sono per la rivolta delle donne nel mondo arabo perché è mio diritto vivere in sicurezza e libertà nel mio Paese, lo Yemen».
Federica Zoja
Fonte: Avvenire