Ritorniamo ancora una volta a parlare di un tema cruciale della nostra vita di uomini e di figli di Dio: l’inferno esiste, esiste la possibilità reale, ineludibile, della dannazione eterna. È necessario ritornare periodicamente a parlarne, con chiarezza, aderendo fedelmente alla divina Rivelazione e al perenne magistero della Chiesa, affinché questo tema non cada mai nel dimenticatoio, come è facile che sia, specialmente nel nostro tempo, visto che «la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l’inferno» (santa Faustina Kowalska).
È un tema cruciale – dicevamo – perché l’inferno sta davanti a noi come misura della possibilità reale del radicale e definitivo fallimento della nostra esistenza: è il “per sempre” di questo fallimento.
Per dirla con le parole incomparabilmente semplici e profonde di un grande saggio e santo, Alfonso Maria de’ Liguori: «abbiamo una sola anima: persa questa è perso tutto; abbiamo una sola eternità: persa questa è persa per sempre».
È un tema che ci riguarda secondo la duplice dimensione di esseri umani e di figli di Dio: l’inferno è, infatti, una reale possibilità perché l’uomo è libero; anzi la libertà, frutto della sua dignità spirituale, è massima espressione della natura umana, e la dannazione eterna è la massima contraddizione della libertà, che per sua natura è adesione consapevole alla verità e al bene.
Più ancora ci riguarda come figli di Dio: col battesimo siamo costituiti nella dignità soprannaturale di Dio stesso, alla cui vita partecipiamo per adozione; e il peccato è insidia continua a tale dignità e porta sempre aperta sulla dannazione eterna.
Dunque il richiamarci spesso alla considerazione sulla realtà e drammaticità dell’inferno è saggezza umana e prudenza cristiana.
Ora ripercorriamo brevemente le fondamentali nozioni della dottrina cattolica e poi ascolteremo diffusamente l’impressionante testimonianza dei santi che Dio ha ispirato a beneficio nostro.
L’inferno c’è
Dobbiamo anzitutto sgombrare il campo dal dubbio circa la sua esistenza, e a questo ci portano concordemente la Rivelazione e la retta ragione.
In tutta la Sacra Scrittura la realtà dell’inferno si impone come una delle verità più chiaramente e insistentemente affermate.
Già il Battista nella sua predicazione aveva annunciato che il Messia ha in mano il ventilabro con cui pulisce la sua aia: raccoglierà il buon grano nel proprio granaio, e brucerà lo scarto con un fuoco inestinguibile (cf Mt 3,12).
Gesù poi mette in guardia più volte dal pericolo di finire nella Geenna, il fuoco inestinguibile (cf ad es. Mc 9,43- 48) e dichiara che alla fine del mondo i cattivi saranno separati dai buoni e saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti (cf Mt 13,49): infatti il Giudice dividerà i buoni dai cattivi, e mentre gli uni riceveranno in eredità il regno preparato per loro, gli altri saranno cacciati lontano da lui, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (cf Mt 25,31-46); in questo modo si realizzano due destini antitetici e irrevocabili: «e se ne andranno questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,46).
Ugualmente la Sacra Tradizione, negli scritti dei Padri e nei pronunciamenti dei Papi e dei concili, non ha fatto che ribadire e illustrare tali contenuti.
Ma anche la retta ragione riconosce l’“esigenza” dell’inferno, e proprio a motivo della sapienza e bontà di Dio. Infatti, è conforme alla sapienza di Dio lasciare che la creatura razionale si autodetermini secondo la propria natura: è dunque logico che, avendo creato un essere consapevole e libero, Dio rispetti tale libertà sino alle sue estreme conseguenze, compreso il rifiuto totale e definitivo del proprio Creatore; inoltre, è conforme alla bontà di Dio proporre ma non imporre la propria amicizia e la propria compagnia a nessuno, né in questo mondo, né nell’aldilà.
Che cos’è l’inferno
L’inferno è «lo stato di definitiva autoesclusione dalla comunione con Dio e con i beati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1033).
Percorriamo analiticamente questa autorevole definizione.
Anzitutto l’inferno è uno “stato”, cioè una condizione di vita (Cf anche Giovanni Paolo II, la catechesi del mercoledì 28 luglio 1999, 3), quella in cui si trovano gli angeli divenuti malvagi e le anime dei dannati; non si esige, per ora, che sia uno spazio fisico, poiché riguarda esseri che vivono una condizione puramente spirituale; è ovvio, invece, che l’inferno si costituirà definitivamente come uno “spazio” con la risurrezione della carne, quando i dannati, ricongiunto il corpo reso immortale con l’anima, abiteranno per sempre il luogo della “Morte eterna”.
Questo stato è necessariamente “definitivo”. Tale definitività deve essere intesa in due sensi.
Anzitutto è definitiva la condizione di dannazione in quanto tale, cioè l’inferno non avrà mai fine. È fuor di dubbio che Gesù non scherzasse quando diceva che nella Geenna si è tormentati da un verme che non muore e da un fuoco che non si estingue (cf Mc 9,48).
E san Giovanni nell’Apocalisse dice dei dannati che il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli (Ap 14,11). Si comprende bene come questo faccia difficoltà, ma basta ragionare: Dio ha creato l’uomo per l’immortalità, e non c’è dubbio che il vivere per sempre sia un dono, non un castigo; contemporaneamente ha dato all’uomo la possibilità di scegliere se dedicarsi al bene o al male; ora è evidente che dando libero corso alla propria decisione l’uomo, e non Dio, stabilisce come trascorrere la propria immortalità.
È poi definitiva la volontà di ogni singolo dannato di permanere nella dannazione. Infatti, se potesse “cambiare idea” non c’è dubbio che Dio lo accoglierebbe, ma il motivo per cui è dannato è precisamente la radicalizzazione assoluta e definitiva, avvenuta nella morte, del proprio rifiuto di Dio, che il malvagio ha costruito per tutta la vita.
Perché si va nell’inferno
Come abbiamo detto, andare all’inferno è una possibilità sempre reale e incombente, fin che siamo in questo mondo, ma non è poi tanto facile! Dio continua a chiamare il peccatore, anche ostinato, alla conversione, senza stancarsi mai; lo segue amorevolmente con la sua grazia, che sempre bussa alla porta del cuore impenitente per poter entrare e risanare la vita disordinata.
Naturalmente proprio questa premura instancabile, se rifiutata, rende ancor più colpevole l’ostinazione nel male, che non ha scuse.
Dunque, per andare all’inferno bisogna opporsi a Dio con tutto se stessi e pervicacemente: «Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di un’avversione volontaria a Dio (un peccato mortale) in cui si persiste sino alla fine» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1037).
Dunque è difficile, ma purtroppo non è impossibile. Infatti «non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo.
Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di Lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1033), poiché non si può essere amici di qualcuno e poi fare consapevolmente e deliberatamente ciò che a lui dispiace.
È dunque inevitabile che «morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1033).
In sintesi: ognuno di noi dà un orientamento alla propria vita, verso Dio o contro Dio; Dio stesso ci illumina con la Rivelazione e nell’intimo della coscienza, e con la sua grazia ci sostiene o ci corregge perché tale orientamento sia per il bene; se nonostante questo, liberamente, l’uomo decide di vivere sino alla fine rifiutando Dio, Dio rispetta questa decisione e permette all’uomo di proseguire per sempre nella scelta fatta.
Come si vive nell’inferno
L’inferno è anzitutto «separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1035); questa privazione è chiamata con termine proprio: “pena del danno”.
Per comprendere la portata di questa privazione, occorre rendersi conto che se nella vita terrena il vuoto Dio può essere mitigato dall’immersione nei beni materiali o in altri surrogati, passata la scena di questo mondo l’uomo si trova di fronte alla verità di se stesso, cioè che tutto in lui dice relazione al Creatore.
Tale vuoto resta dunque incolmabile e lacerante.
Ma nell’inferno i dannati subiscono anche la pena di un «fuoco eterno» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1035), e questa è ciò che chiamiamo “pena del senso”.
È evidente che non si tratta di fuoco come quello che brucia in questo mondo, poiché non potrebbe nuocere all’anima dannata; molto opportunamente san Tommaso d’Aquino lo concepisce come un “carcere” che avvolge e immobilizza il dannato.
La sintesi di queste due pene può essere così rappresentata: al momento della morte, l’anima del malvagio, separata dal corpo, “entra” in una nuova dimensione; sola con se stessa sarebbe naturalmente spinta alla ricerca di una relazione, ma nessuna relazione è possibile: non con Dio, da cui è inesorabilmente separata; non con altre creature, poiché non ha più i sensi corporei che sono i veicoli naturali della relazione, né l’unione con Dio, da cui deriva l’unione spirituale con tutti coloro che sono uniti a Dio.
Dunque si trova imprigionata in se stessa, avvolta da una solitudine abissale, immersa in una ombra di esistenza che è lucida consapevolezza di restare per sempre inerte, deforme, contraddittoria.
Chi abita l’inferno
Che l’inferno sia una realtà e fuor di dubbio, e già l’abbiamo detto; quanto al fatto che sia la condizione esistenziale attuale di alcune creature e non solo una possibilità ipotetica è ugualmente certo e deriva dalla precedente. Infatti, essendo una condizione di vita ultraterrena e non (per ora) un luogo, non può esistere se non come stato esistenziale del soggetto che lo subisce. Dunque, dire che l’inferno esiste coincide con il dire che esistono dei dannati.
Quanto ai demoni, è di fede che essi siano dannati, in quanto è certa la loro ostinata ribellione a Dio.
Quanto agli esseri umani, dobbiamo dire che tale condizione è esigita quale realissima e inevitabile conseguenza del peccato, che vediamo dilagare nel mondo: la dannazione eterna è dunque la conseguenza, invisibile ma immaginabile, del peccato quale sua causa, e questa sì, purtroppo, visibilissima, e sin troppo constatabile!
Le visioni quanto mai realistiche di tanti santi e veggenti, di cui troviamo alcuni impressionanti esempi nelle prossime pagine, sono la conferma e l’illustrazione assolutamente realistica di cosa sia l’inferno: è questa una straordinaria manifestazione della misericordia di Dio, che ci mette in guardia mediante la voce dei suoi messaggeri.
Dossier: VIAGGIO ALL’INFERNO
IL TIMONE N. 123 – ANNO XV – Maggio 2013 – pag. 36 – 38