L’emigrato è sacro e guai a chi lo tocca. Sei poi è africano, è ancora più sacro. Il presidente Mattarella, per esempio, in visita di stato in Armenia, al deporre una corona di fiori sul sacrario del genocidio insieme al presidente armeno, non imita quest’ultimo, che si fa il segno della croce, dunque nemmeno il memoriale del genocidio è per lui sacro.
Però alza la voce contro l’Italia-farwest se un cretino spara ad aria compressa su una bambina nomade. Una ragazza di origine nigeriana si becca un uovo in un occhio ed ecco tutti i giornali e i tiggì fare la conta, tutte le volte che danno la notizia, di quanti neri nell’ultimo mese si sono fatti la bua per colpa dei bianchi.
Sicuramente il Tg2 metterà, se continua così, il numeretto in alto a destra dello schermo, così come per i «femminicidi». Cioè, ogni volta che ci sarà un caso, ci ricorderà tutti i precedenti, in modo che gli italiani non si scordino il sacro dovere di santificare il migrante.
L’americanata del «razzismo» ha prodotto negli Usa discriminazioni al contrario, alle quali l’odiato (non a caso) Trump sta cercando di porre rimedio. Ora, la sinistra nostrana cerca di americanizzarci anche in questo, noi che non abbiamo avuto né capanne dello zio tom né guerre di secessione. Le sinistre, eredi del giacobinismo, sono maestre nella guerra degli slogan: i loro avi l’hanno inventata ed è il motivo per cui cercano indefesse di introdurre i loro temi ideologici nelle scuole.
Le quali, dal Sessantotto in poi, sono diventate il luogo privilegiato del conformismo politicamente corretto, complice lo scarso livello critico della classe insegnante.
Berlusconi, dal canto suo, fin dal 1994 commise lo stesso errore della Dc, trascurando la cultura, le arti e la scuola in un gramscismo al contrario. Perì di propaganda e demonizzazione, malgrado i voti che aveva.
Due-tre anni fa, d’estate, ero a cena in un ristorante all’aperto, a Pisa, con una coppia di amici e il loro figlio di dieci anni. La città era da sempre un feudo rosso, perciò gli ambulanti africani erano intoccabili.
Cenare fuori era un tormento, ti si avventavano addosso come le cavallette, uno dietro l’altro, senza fine. Ero impegnato in una animata discussione quando arrivò il primo, insistente nel voler vendermi le sue cianfrusaglie.
Gli dissi che non mi interessava, dovetti ripeterlo cinque volte, alzando vieppiù la voce. Alla fine, spazientito, mi levai in piedi e lo mandai a quel paese a male parole. Ebbene, il bambino mi diede del «razzista», e a nulla servì spiegargli che avrei agito così anche con un ambulante italiano se fastidioso e importuno.
Eh, i corsi di antirazzismo glieli avevano fatti a scuola, perciò il decenne si comportava come i cani di Pavlov.
Così, la sinistra e i suoi utili idioti non devono fare altro che ribattere i loro slogan fino allo sfinimento, ansiosi come sono che un movimento razzista, dai e dai, prima o poi nasca davvero.
Né si tratta di un fenomeno solo italiano: sui giornali esteri la Lega è qualificata di «partito xenofobo», e lo stesso fanno i giornalisti italiani con tutte le destre europee; basta solo che chiedano una qualche disciplina dell’«accoglienza» e l’etichetta è già pronta.
Naturalmente, come tutti sanno, per far nascere un fenomeno basta evocarlo con sufficiente reiterazione.
L’iperprotezione dell’immigrato creerà fatalmente un movimento di rigetto, e allora, se prenderà i voti delle maggioranze esasperate, gli si darà del «populista» (da qual pulpito viene poi, la predica: se c’era un partito populista in Italia era il loro papà, il Pci) e lo si demonizzerà in tutti i modi.
Se prenderà altre vie, meglio: la sinistra ha un bisogno disperato di un «proletariato» da cavalcare, e se non c’è lo crea. Come da copione, quando la sinistra perde alle urne fa ricorso alla piazza: il segretario del Pd, Martina, ha appena annunciato una grande «mobilitazione» antirazzista per settembre.
Pensate che dopo le ultime elezioni, le sinistre si stiano estinguendo? Errore: come si fa a comandare pur essendo una risicata minoranza glielo ha insegnato Marx, ed è una lezione che non hanno mai dimenticato. Anche perché non sanno fare altro.