Chi entra per la porta è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori; e quando ha condotto fuori tutte le sue pecore cammina innanzi a loro e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei (Gv 10, 2-5).
Illustrissimo,
qualunque sia la Sua posizione reale davanti a Dio, sentiamo in coscienza il dovere di rivolgerci a Lei a motivo della posizione che occupa almeno agli occhi degli uomini.
Non siamo certo estremisti ultratradizionalisti, come la stampa a Lei favorevole ama classificarci, bensì semplicemente cattolici provenienti dalle esperienze più diverse, ma accomunati dall’essere stati oggetto della misericordia divina e desiderosi unicamente di rimanere cattolici, onde non perdere il dono incommensurabile della vita eterna, che vogliamo meritare con l’aiuto della grazia.
Sappiamo quanto poco gradite siano le nostre osservazioni, ma il nostro dramma – per dire tutto in poche parole – è che non riusciamo proprio a riconoscere nella Sua la voce dell’unico Pastore.
La dissonanza è talmente forte che non possiamo ascoltarla né tanto meno seguirla: la Sua voce ci suona inevitabilmente estranea.
Come se non bastasse, nelle Sue parole avvertiamo regolarmente un’ostilità preconcetta verso chi si sforza di procedere onestamente sulla via del bene quale la Chiesa, per due millenni, l’ha costantemente mostrata nel nome di Cristo.
La nostra impressione (quanto vorremmo che fosse finalmente smentita!) è che Lei non sia entrato nel recinto passando attraverso quella porta – ossia la santa Tradizione – che c’è da molto prima di Lei e che a nessuno, pertanto, è lecito aggirare.
Non è vero che siamo persone arroccate in rigide convinzioni o in abitudini stereotipate, insensibili alla sorte di chi sarebbe escluso dal fariseismo dei moralisti.
Siamo peccatori perdonati che, in molti casi, hanno sperimentato l’irruzione della grazia; conosciamo perciò per esperienza diretta la potenza trasformatrice del Vangelo.
Non vediamo allora perché si dovrebbe precludere a tanti altri questa esperienza meravigliosa, mantenendoli nei loro peccati e inducendoli a credere di potervi perseverare con la benedizione di Dio.
Certamente il Signore li ama tutti e ciascuno nella loro condizione, ma proprio perché li ama non può lasciarli in una situazione che può condurli alla dannazione eterna, bensì desidera la loro conversione e il loro riscatto.
La voce del Buon Pastore si è sempre riconosciuta dalla mite fermezza con cui richiama gli erranti dalla via che li porta nel baratro, non dalla seducente blandizie di chi li conferma nel loro errore.
Questa non sembra misericordia, ma suprema perfidia, come sarebbe quella di un medico che, per rassicurare un malato di cancro, gli dichiarasse che è in ottima salute.
La realtà oggettiva non è quella che preferiamo immaginare per sentirci bene; per quanto sia grave o compromessa, il nostro Medico è talmente capace che nessun male gli può resistere, purché anche noi siamo disposti a fare quanto in nostro potere per abbandonare il peccato.
Questo ci aspettiamo di udire dalla voce di un vero pastore, non che – tanto per dirne una – un prolungato concubinaggio può contenere la grazia del sacramento del matrimonio: il peccato sta alla grazia come la malattia sta alla salute.
La voce del Pastore afferma altresì che il peccato è trasgressione dei Comandamenti divini (cf. 1 Gv 3, 4); di conseguenza non vediamo come si possa vivere in adulterio permanente senza essere in peccato mortale.
Forse che il Pastore può contraddirsi? O forse lo Spirito ha capovolto la legge divina? Di quale spirito si tratterebbe, nel caso? Può forse verificarsi un’evoluzione nella volontà di Dio così come è testimoniata da Scrittura, Tradizione e Magistero? Dobbiamo forse tralasciare l’unanime insegnamento di tanti Papi, Padri e Santi in nome di una “nuova” comprensione della verità rivelata che di fatto la annulla?
Questo può piacere al mondo incredulo che combatte la Chiesa, ai peccatori induriti che si rifiutano di ravvedersi, alla dittatura del politicamente corretto, ma non certo a chi, per grazia di Dio, ha conservato una fede autentica.
Probabilmente Lei ci replicherà, Illustrissimo, che la maggioranza dei cattolici, in ogni parte del mondo, concorda con le Sue vedute.
Ma è realmente così? Come si può valutare la consistenza effettiva di un dissenso che non ha voce, se non sulla Rete? E quelli che La osannano, si può dire che abbiano veramente la fede? Che cosa sanno della dottrina cristiana? Quello che hanno imparato al catechismo o udito nella predicazione negli ultimi cinquant’anni?
Noi che viviamo in mezzo al popolo Le possiamo garantire che, molto spesso, ciò non ha molto a che fare con la genuina fede cattolica: l’operato di preti e vescovi che hanno perso la fede in facoltà o in seminario ha quasi completamente eroso, in mezzo secolo di sistematica demolizione, anche quella dei fedeli.
La realtà dei fatti, nella Chiesa odierna, supera l’immaginazione: quante donne, secondo Lei, confessano l’aborto? A me è capitato due volte in vent’anni di ministero; eppure le statistiche sono agghiaccianti.
Quanti divorziati risposati sono realmente così desiderosi di riconciliarsi con Dio per poter di nuovo ricevere i Sacramenti? L’unica cerimonia in chiesa che i parenti chiedono ancora per loro sono le esequie, ma è troppo tardi…
Su un altro versante, quanti sono i luterani che credono ancora in qualcosa e praticano qualche forma di preghiera?
O i musulmani che abbiano un sincero sentimento religioso e curino una vita morale accettabile? Ma ci rendiamo conto o no che nella Chiesa, oggi, ci si logora in speculazioni irreali o quanto meno superflue?
Quanto vorremmo sentire di nuovo la voce del Pastore, quella voce dolce e severa ad un tempo che, per guarirci, ci corregge ed esorta, sostenendo con la Sua grazia quanti sono disposti ad ascoltarla!
«Ecco, verranno giorni – dice il Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore» (Am 8, 11).
Non ci obietti, per favore, che le Sue parole rimproverano i duri di cuore e riprovano i potenti del mondo, perché sono talmente vaghe che ognuno può considerarle rivolte a qualcun altro, mentre quanti hanno potere vanno quasi sempre d’amore e d’accordo con Lei; ci sarà pure un motivo.
Non ci incantano affatto le condanne generiche dell’aborto o delle colonizzazioni ideologiche, sistematicamente contraddette dalle Sue azioni.
Questa volta non si può imputare ai giornalisti di travisare le intenzioni del Papa o di deformarne l’insegnamento: essi non fanno altro che esplicitare quanto da Lei suggerito in modo inequivocabile; se poi non c’è mai una smentita…
Si potrebbe continuare a lungo, ma la sostanza è che, onestamente, non possiamo riconoscere la voce di Cristo nella Sua. La santa Chiesa non Le appartiene, Illustrissimo, e nessuno è autorizzato a trasformarla in qualcos’altro.
Ci permettiamo perciò di avanzare un’ipotesi da Lei stesso formulata: che possa esserci più di un papa emerito. Sarebbe un bene per tutta la Chiesa, qualora il Signore ci concedesse un Pastore degno di questo nome, ma sicuramente lo sarebbe per l’eterna salvezza dell’anima Sua.
Il tempo della misericordia non si può prolungare a piacimento: arriva il giorno in cui dovremo presentarci al Giudizio.
In occasione del Suo ottantesimo genetliaco, pertanto, prendendo a modello la parrhesía di sant’Atanasio d’Alessandria, san Bernardo di Chiaravalle e santa Caterina da Siena, osiamo rivolgerLe questo appello nel nome di Gesù Cristo: si dimetta.
Fonte: La Scure