L’eterno ritorno dei trenta denari – di Giuliano Guzzo

CATTURA_CRISTO_CARAVAGGIOAl di là di intercettazioni inquietanti, di fatti e responsabilità che andranno accertati, vi sono due elementi che sembrano costantemente sfuggire ai cronisti impegnati nella ricostruzione degli scandali vaticani esplosi in questi giorni. Il primo è che, se mezza Italia – o anche più di mezza – è si sta indignando per quanto accade (o accadrebbe) nello Stato Vaticano, beh lo si deve proprio…al Vaticano. Non sono infatti stati due libri sui malaffari della Santa Sede in procinto di entrare in vendita né la nostra magistratura ad arrestare monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Chaouqui, bensì la gendarmeria vaticana.

E se questo non fosse accaduto dei due libri in questione, per quanto scottanti ne siano i contenuti, si sarebbe parlato molto meno, cosa che fra i sacri palazzi era ovviamente ben chiara.

Traballa non poco, dunque, l’idea che il cattivissimo Vaticano stesse insabbiando tutto prima degli eroici giornalisti ne svelassero le trame oscure. Che poi, per stare in tema, del famigerato complotto alle spalle di Papa Francesco – per aiutare il quale gli autori dei testi in questione assicurano di aver agito – si sta capendo tutto fuorché la cosa più importante: i mandanti.

Non sarà che lo scandalo di cui si parla, per quanto oggettivamente poco consolanti siano alcuni particolari che stanno emergendo, altro non sia che la grande vendetta di due piccoli personaggi che avevano accesso a documenti e li hanno girati alla stampa non già per eroismo ma solo perché delusi nelle loro aspettative o per qualche mancata promozione? La storia, d’altra parte, insegna che il più delle volte gli enigmi hanno una soluzione semplice, banale perfino.

Quanto al contenuto dei libri che svelerebbero il marcio che il Vaticano vorrebbe occultare, meritano di essere riportate le parole del vaticanista Andrea Tornielli, accreditato come molto vicino a Papa Francesco: «Quello che più colpisce è piuttosto il quadro generale: i due libri presentano infatti i risultati della più grande e minuziosa inchiesta sui conti vaticani che sia mai stata condotta. A realizzarla però, è stato lo stesso Vaticano, affidandosi a consulenti esterni ed estranei: l’indagine per sapere quanto denaro c’è e come viene speso; quanti immobili ci sono, quanto realmente valgono e come vengono gestiti; che ruolo hanno le fondazioni e come gestiscono le loro uscite; lo screening minuzioso su tutti i conti dello Ior che ha portato alla chiusura di centinaia di posizioni…» (La Stampa.it, 5.11.2015) Più che ad uno scandalo, saremmo insomma davanti a banalissime fughe di notizie.

Un secondo aspetto che rimane curiosamente estraneo ai commenti dei tanti che in questi giorni seguono le vicende vaticane è il seguente: la corruzione c’è da sempre. Nella Chiesa, intendo. Già nel corso dell’Ultima Cena, infatti, sedeva chi per trenta denari si apprestava a tradire Chi può essere ritenuto più lungimirante e onesto di qualsiasi Papa: Nostro Signore.

Il quale in fin dei conti venne quindi venduto – è stato osservato – per il prezzo che la Legge prescriveva per il riscatto di uno schiavo: non una somma stellare, quindi. E se chi ebbe la fortuna di frequentare Gesù lo tradì in fondo per poco, c’è davvero da stupirsi di chi tradisce, per quanto ispirato e riformatore, la fiducia di un Papa? O forse c’è meravigliarsi di chi – si perdoni il bisticcio di parole – si meraviglia che certe cose (ancora) accadano? E’ bene riflettere su questi aspetti.

Ed è bene farlo senza però cadere nel tranello pauperistico per cui una Chiesa spiantata sarebbe quello che ci vuole dal momento che, se si deve credere ai Vangeli, Gesù stesso pare fosse tutt’altro che un “profugo”: non nacque schiavo, contrariamente all’immagine tradizionale – o stereotipata, per usare un termine à la page – la sua nascita non sembra essere particolarmente contrassegnata da indigenza e miseria, era di origini “aristocratiche” appartenendo al più nobile lignaggio giudaico, quello davidico, la sua famiglia doveva possedere una propria casa a Nazaret, il lavoro di artigiano doveva consentirGli di guadagnarsi da vivere e, oltre a non rifiutare inviti ai banchetti anche a costo di essere considerato «un mangione e un beone», pare non disdegnasse il sostegno economico delle donne anche facoltose che lo seguivano (cfr. StoriaLibera, 2015; Vol.1:45-100).

Tornando a noi il problema non sembra essere dunque tanto – fermo restando il rifiuto per eccessi e sprechi, deprecabili a priori – quello della mancata povertà di certi uomini di Chiesa ma, semmai, della mancata fedeltà: che è guaio molto più serio.

Se infatti a sbarazzarsi dei propri averi, una volta che c’è la volontà di farlo, basta un attimo, la fedeltà al Vangelo richiede esercizio continuo. Ed è naturalmente giusto aspettarsi da alti prelati e principi della Chiesa l’esempio: ci mancherebbe.

Tuttavia lo stracciarsi le vesti per quanto sta trapelando in questi giorni, alla luce di duemila anni di storia – e di quel miserabile tradimento consumatosi già durante l’Ultima Cena -, tradisce, sia detto con rispetto, non poca ingenuità.

Ma la Chiesa in realtà è sempre Sua, del Fondatore, ed è quindi destinata a superare sia le umiliazioni inflittegli da chi ne tradisce la missione sia la meraviglia di chi, oltre che della Sposa di Cristo, sembra capire poco della fragilità umana.

Fonte: il blog di Giuliano Guzzo