A leggere i nomi delle persone nominate direttamente da Papa Francesco per il prossimo Sinodo sui Giovani si rimane seriamente (e negativamente) colpiti. Soprattutto per le sorti di questo Sinodo e dei Sinodi in quanto tali sui quali si rischia di gettare un’ombra di sospetto che ne compromette la funzione ecclesiale. Lasciamo da parte, per il momento, l’aspetto per cui molti dei nominati dal Papa sono nell’occhio del ciclone dello scandalo degli abusi e dell’omosessualismo (da Maradiaga a Cupich, da Farrell a Marx).
L’arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput, aveva suggerito addirittura di sospendere il Sinodo sui giovani perché “i vescovi non avrebbero in questo momento assolutamente nessuna credibilità per affrontare questo argomento”, e il Papa nomina proprio i nomi maggiormente impigliati nella querelle.
Lasciamo da parte, come dicevo, per il momento questo aspetto seppure centrale, e soffermiamoci sul fatto che i nominati sono tutti esponenti del progressismo modernista in fatto di sessualità e famiglia, in primis, naturalmente, padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, ed Enzo Bianchi.
Queste nomine così unilaterali da parte del Papa sono dirette evidentemente a determinare fin da subito l’esito del Sinodo e a confermare il parere espresso da tanti, ossia che oggetto del Sinodo non siano i giovani ma nuove aperture moderniste nel campo della morale sessuale, in modo particolare delle relazioni sessuali prematrimoniali e della contraccezione.
Il piccolo esercito di diretta nomina papale avrebbe lo scopo di forzare con sicurezza la mano in questo senso e di confermare un esito prefigurato fin da ora. In altre parole: il Sinodo come macchina strumentale per raggiungere altri fini da quelli dichiarati.
La prova generale di questo metodo era già stata fatta in occasione dei due Sinodi sulla famiglia degli anni 2014 e 2015.
Essi erano stati meticolosamente pianificati affinché conducessero all’esito voluto.
L’incarico al cardinale Kasper di dettare la linea già nel febbraio 2014, l’esclusione del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II dalla prima sessione (recuperato, dopo le proteste e l’evidente forzatura dell’esclusione, nella seconda), la nomina di fidati interpreti della nuova linea, da Spadaro a Forte, nella segreteria e, ancor di più, le nomine nel gruppo che avrebbe dovuto stendere le conclusioni, i briefing pilotati di Padre Lombardi, il divieto ai Padri Sinodali di lasciare dichiarazioni … testimoniano una conduzione politica molto attenta, sancita dall’inquietante dichiarazione di Mons. Bruno Forte, secondo il quale il Papa gli avrebbe detto di preparargli il terreno che al resto ci avrebbe pensato lui, “altrimenti questi qui sai che casini ti combinano!?”.
La cosa sembra ora ripetersi per il Sinodo sui Giovani e anche per quello, previsto per l’anno prossimo, sull’Amazzonia, i cui esiti possono già darsi per scontati. Basta leggere i rispettivi documenti preparatori per averne ulteriore conferma.
È un po’ come accade nei consessi politici, ove mai nessuna riunione o congresso o summit viene fatto senza aver stabilito prima cosa deve uscirne.
Salvo, naturalmente, appellarsi poi al soffio dello Spirito Santo, a non aver paura delle novità, a non chiudersi nell’astrattezza della dottrina, a non giudicare e a non criticare gli altri ma solo se stessi perché altrimenti non si è misericordiosi.
Potremmo parlare di Sinodi “pretesto”, o di Sinodi “strumentali” per raggiungere un qualche fine già stabilito prima.
Ciò non significa, come ormai abbiamo imparato, che il Sinodo debba alla fine dire qualcosa di chiaro, ancorché innovativo rispetto alla dottrina tradizionale. Anzi, il Sinodo potrà auspicabilmente anche rimanere nel vago, dire e non dire, aprire le questioni anziché chiuderle.
Il progressismo modernista non vuole trasformarsi in una nuova dottrina, ma mettere in dubbio la dottrina in modo da aprire le porte a prassi ecclesiali che siano in contrasto con essa senza però dichiararlo.
Né si deve pensare che le conclusioni del Sinodo debbano rimanere inconcluse perché a concludere dovrà poi essere il Papa nella Esortazione apostolica post-sinodale.
Questa successiva Esortazione potrà infatti ribadire semplicemente quello che ha detto il Sinodo senza chiudere a sua volta le questioni aperte e ancora inconcluse, anzi aprendone di nuove e di ancora più inquietanti.
Se questo quadro è vero, però, è la sostanza stessa del Sinodo a venire meno, ridotto prosaicamente ad una conferenza ONU, alla disposizione sul campo delle proprie truppe, all’inserimento dei propri uomini nelle segreterie che contano, a tattiche troppo umane.
I giornali cattolici e i notiziari della Radio Vaticana enfatizzeranno l’evento e Lorena Bianchetti alla domenica mattina su Rai1 ne presenterà tutta la bellezza e la sintonia con i tempi, ma i fedeli, capito il trucco, se ne disinteresseranno e non si aspetteranno dal Sinodo nessuna parola di verità.
A questo, purtroppo, fanno pensare le nuove nomine papali. E se ci ho pensato io, che ho un quoziente di intelligenza molto basso, chissà quanti altri vi avranno pensato.