La messa è finita. Per mancanza di fede(li) – di Claudio Crescimanno

MessaSul portone della chiesa di sant’Erasmo, situata su una delle tante isolette della laguna di Venezia, da qualche giorno è affisso un cartello: La messa è sospesa per mancanza di fedeli. Si tratta, evidentemente di una provocazione, ma è anche lo spunto per una riflessione. Cominciamo anzitutto dalla questione numerica. In quante altre chiese d’Italia potrebbe essere appeso un cartello simile? Molte, moltissime, purtroppo, come tutti sappiamo.

La situazione sul territorio nazionale è variegata, ovviamente, ma se in alcune, poche, regioni la percentuale dei praticanti è ancora relativamente alta (ad esempio Lombardia, Veneto, Sicilia) per la gran parte del nostro Paese l’abbandono progressivo della partecipazione alle funzioni religiose è in crescita. Non diciamo niente di nuovo: è l’inevitabile effetto della scristianizzazione in atto da quarant’anni.

Questo dato però non è adeguatamente compreso se non lo si mette in rapporto con un altro dato, in certo modo di segno opposto: anche l’ateismo è in calo. La percentuale di coloro che si dichiarano atei in Italia, dagli anni Settanta ad oggi, è quasi dimezzata.

Questo significa che molte persone, specialmente i giovani, non si riconoscono più nel materialismo, ma neppure si riconoscono nell’appartenenza ad una fede religiosa; preferiscono il ‘credo a modo mio’, una spiritualità fluida e non confessionale.

In questa scelta, evidentemente, gioca un ruolo fondamentale l’influsso della cultura contemporanea dominata dal soggettivismo e del relativismo, ma non pare sia ininfluente anche la profonda smobilitazione identitaria e culturale del cattolicesimo italiano (e non solo italiano, ovviamente).

Dopo che per decenni si è ripetuto nelle nostre chiese, nei nostri oratori, nei nostri convegni, che il cristiano non deve essere assertivo, che è più importante porre domande che dare risposte, che la fede è una ricerca mai compiuta, una problematicità sempre aperta, che si è cristiani non per ciò che si crede ma per come si agisce, ecco a forza di ripetere ossessivamente questi slogan non c’è poi da meravigliarsi se tanti finiscono per prenderli sul serio e ne tirano le debite conseguenze.

E allora succede che, come accaduto una quindicina di anni fa, uno dei tanti uffici CEI commissioni un sondaggio tra i ragazzi italiani di parrocchia e di oratorio (sondaggio poi pietosamente sepolto in qualche archivio, dato il disastro emerso) e salti fuori ad esempio che, di detti ragazzi, più del sessanta per cento crede alla reincarnazione piuttosto che alla risurrezione!

E se le idee sono queste, quanto ci si può aspettare che duri la pratica religiosa di questi ragazzi divenuti adulti? Quando è finita l’età dei campeggi, delle partite all’oratorio e delle schitarrate, chi di questi continua ad andare a messa? Ed ecco che le chiese si svuotano …

Dunque il dato numerico (bassa percentuale di praticanti) ha dietro di sé il dato religioso (bassa intensità della fede) che a sua volta ha dietro di sé il dato ecclesiologico: la Chiesa sta ancora facendo il proprio mestiere?

Non ripeteremo mai abbastanza che la Chiesa non si occupa di sociologia o di ecologia, non è un’agenzia umanitaria o di intrattenimento; la Chiesa deve evangelizzare, cioè dire a tutti la verità su Dio e sull’uomo, sulla vita terrena e sull’aldilà.

Questa è la Chiesa come l’ha istituita il Signore Gesù, questa è la Chiesa di cui il mondo ha bisogno, questa è la Chiesa che riempie le chiese!

 

A questo punto, però, andiamo oltre la questione numerica. Il ritorno a Dio dell’uomo contemporaneo, il ritorno all’unico vero Dio, cioè il ‘Dio cattolico’, il solo Dio alla cui presenza cadono gli idoli del nuovo paganesimo edonista che seminano schiavitù ed infelicità, è un’opera assolutamente soprannaturale: il Figlio di Dio fatto uomo, inchiodando la sua umanità sulla croce, ne ha fatto il ponte fra il Cielo e la terra e quindi la via per il ritorno dell’uomo a Dio; come sappiamo, questa immolazione che riconcilia l’uomo con Dio si perpetua sugli altari nella santa messa: per questo ogni messa, celebrata tra le volte di una grande cattedrale, nelle forme più solenni e il più ampio concorso di fedeli, o celebrata nella solitudine di un eremo, ha in sé il medesimo valore dell’unico sacrificio di Cristo, presta alla santissima Trinità un atto infinito di adorazione e di ringraziamento, dona sollievo e liberazione alle anime del purgatorio, riversa incalcolabili grazie sulla Chiesa e sull’umanità, converte i peccatori, santifica i fedeli, sconfigge i demòni.

Non c’è nulla di retorico in tutto questo. Questo è ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e vissuto e praticato. Ci crediamo davvero? Se ci crediamo, allora attenzione ai cartelli che esponiamo…

La messa è sospesa per mancanza di fedeli … sicuramente il parroco che lo ha scritto, come i tanti che lo potrebbero scrivere, lo intende nel senso che, data la scarsità di preti da cui siamo afflitti, un sacerdote ‘sottoutilizzato’ in una zona, preferisce lasciare la parrocchia e andare altrove a celebrare la messa, amministrare i sacramenti, predicare e fare catechismo, cioè in un luogo in cui il suo ministero può essere più fruttuoso perché più richiesto.

Sarebbe invece assurdo se quella frase fosse rivelativa di un criterio del tutto mondano secondo il quale se non c’è abbastanza pubblico lo spettacolo non va in scena! La messa non è uno spettacolo rivolto ad un pubblico, ma un atto di culto e di amore a Dio-Trinità che ne è contemporaneamente il protagonista e il destinatario!

Il ‘pubblico’ può esserci o non esserci, fisicamente; ma in realtà c’è sempre, poiché ogni liturgia è azione di tutta la Chiesa e anche se celebrata in solitudine da un sacerdote in cima a un monte, lì è presente e agisce il Signore Gesù Cristo e dunque è presente immancabilmente l’intero suo Corpo mistico, la Chiesa del Cielo, quella della terra e quella del Purgatorio.

C’è un mondo invisibile ma realissimo che si affolla intorno al più umile e nascosto altare in cui si rinnova il santo Sacrificio della messa; c’è un fiume incontenibile di grazie che sgorga da esso e di cui il sacerdote è ministro per decreto divino, indipendentemente dal ‘successo’ di pubblico che egli riesca a suscitare nel quartiere o nel paese in cui vive.

Qualunque scelta ‘pastorale’ non può che fondarsi su questa realtà della nostra fede e non può mai prescindere da essa.

 

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana